L’allarme dell’organizzazione internazionale lanciato durante il congresso convocato in questi giorni a Roma. 2 mld di persone al mondo non hanno accesso al cibo, 820 milioni non sanno se oggi mangeranno, 700 milioni sanno che di certo non avranno cibo per la propria famiglia. Il modo di nutrirci, produrre cibo e distribuirlo causa anche il 40% dei mutamenti climatici
Monica Di Sisto
«Oggi, 16 ottobre, non dovremmo celebrare la Giornata mondiale dell’alimentazione ma la Giornata mondiale della Fame: il rapporto Fao 2019, infatti, spiega che il numero delle persone che soffrono la fame è tornato a crescere dopo anni di calo. 2 miliardi di persone nel mondo hanno difficoltà nell’alimentarsi, 820 milioni non sanno se oggi mangeranno, 700 milioni sanno che di certo non avranno cibo per sé e la propria famiglia. Un sistema alimentare al collasso anche in termini di impatto ambientale, visto che provoca circa il 40% dei cambiamenti climatici in atto spingendoci ben oltre i limiti del pianeta».
COSÌ PAOLA DE MEO, dell’ong Terra Nuova, introducendo l’incontro tra i delegati della società civile protagonisti del Comitato per la sicurezza alimentare Fao convocato in questi giorni a Roma, i giovani dei Fridays for Future e i parlamentari italiani. Un saluto istituzionale è stato inviato dal presidente della commissione Agricoltura della Camera Filippo Gallinella e dalla vicepresidente della commissione Agricoltura del Senato Elena Fattori. Sono intervenuti alla presentazione il capogruppo di LeU Federico Fornaro, i deputati LeU Rossella Muroni e Stefano Fassina e le deputate del Gruppo Misto Sara Cunial e Silvia Benedetti.
Nel progetto «Nuove Narrazioni per la Cooperazione» l’osservatorio Fairwatch ha prodotto un report sulla coerenza delle politiche italiane su sviluppo rurale e migrazioni, e il quadro emerso è desolante. Riduzione dei fondi di cooperazione, iniziative scoordinate tra governo e del Parlamento, mancanza di valutazione e di visione complessiva che si riflette nell’ultimo Def. A parte alcune iniziative di semplificazione burocratica, per l’agricoltura non ci sono fondi né previsioni di investimento in quella transizione ecologica non rinviabile, se siamo seri nel voler avviare un Green new deal. Anche il Dipartimento sviluppo dell’Ocse il 14 ottobre scorso ha richiamato l’Italia ai suoi impegni internazionali rispetto molte di queste stesse criticità.
«IL MIO PAESE, il Mozambico, lo scorso anno è stato devastato da due cicloni: i giovani e le donne nei campi hanno lavorato per riportare il cibo in tutte le case – ha spiegato Silvia Diwily della World March of Women del Mozambico che rappresenta i giovani nella delegazione non governativa alla Fao -. Noi donne e giovani siamo protagonisti della produzione familiare di cibo a livello globale, portiamo sulle spalle la maggior parte delle aziende, lottiamo per far capire che bisogna affrontare la lotta alla fame in una chiave più ampia di agroecologia e lotta ai cambiamenti climatici. Eppure non ci ascoltano. Esigiamo un cambiamento perché non c’è più tempo da perdere».
«Noi ragazze e ragazze siamo molto preoccupati per il nostro futuro perché fino ad adesso la società umana globale ha avuto una sempre maggiore disconnessione dalla terra – ha rivendicato Riccardo Nanni, portavoce dei Fridays for Future di Roma, che torneranno in piazza per il quarto Sciopero globale per il clima il 29 novembre -. Chiediamo che vengano potenziati i canali di distribuzione alternativi al supermercato, migliorato l’accesso al mercato dei piccoli produttori locali e incentivato il consumo di prodotti stagionali anche grazie alle mense di scuole e ospedali. Vogliamo anche che vengano bocciati in Parlamento tutti gli accordi commerciali come Ceta, nuovo Ttip e Mercosur e protesteremo fino a quando non verranno vincolati alle convenzioni internazionali su ambiente, lavoro e clima».
«Contrariamente a quanto si crede, solo tra il 12%-13% della produzione agricola si muove sul mercato globale (essenzialmente mais e soia) e oltre il 63% del cibo prodotto nel mondo viene consumato entro i 100 km da dove viene prodotto – ha ricordato Mamadou Goita, della rete contadina africana Roppa -. Quindi i mercati locali sono la chiave non solo per combattere la povertà migliorando il reddito dei produttori, ma anche per rendere le filiere agroalimentari più ecologiche e ridurre gli impatti ambientali».
Una prima risposta è arrivata da Fornaro: «Nel mese di novembre la Commissione Agricoltura dovrebbe cominciare l’esame di alcuni progetti di legge sull’Agricoltura contadina, tra cui uno a mia prima firma, per coglierne le peculiarità attraverso il suo riconoscimento. Un segnale che va nella direzione giusta». «Un’ottima notizia – ha commentato la deputata Cunial, firmataria di un Pdl sul tema che raccoglie gli esiti di un’iniziativa popolare partita nel 2009 – spero che possa essere lo spazio in cui fare almeno un primo passo verso la transizione non solo delle aziende, ma anche dei territori italiani tutti verso l’agroecologia».