domenica 7 luglio 2019

Il dovere di salvare e di obiettare a guerre contro i poveri e tra poveri

dalla pagina https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-dovere-di-salvare-e-di-obiettare-a-guerre-contro-i-poveri-e-tra-poveri


Caro direttore,
questa è la lettera appello che abbiamo indirizzato al presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella. «Signor Presidente, le scriviamo per manifestarle la nostra totale condivisione con le scelte compiute da Carola Rackete – comandante della piccola nave “Sea Watch” – sia per aver salvato la vita a dei naufraghi nel Mediterraneo sia per aver deciso, dopo 17 giorni di vana attesa, di farli sbarcare in Italia dopo le lunghissime sofferenze patite nei loro viaggi precedenti e in una nazione in guerra come la Libia. Signor Presidente, se la solidarietà sta divenendo in Italia un reato allora noi le comunichiamo che vogliamo compiere ogni reato di umana solidarietà e che ci associamo a quanto ha fatto la comandante Rackete e desideriamo essere indagati e processati anche noi per apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista per questo reato. Troviamo inaccettabili le parole dell’attuale ministro dell’Interno il quale, mentre agita a scopo elettorale il Vangelo e il Rosario, parla di atto di guerra compiuto dalla comandante Rackete. È inverosimile e anche ridicolo, infatti, sostenere che una minuscola unità navale, totalmente disarmata e con a bordo dei poveri naufraghi voglia e possa far guerra all’Italia. Non vi è nessuna minaccia e nessuna guerra in atto se non quella scatenata da mesi nei confronti di esseri umani bisognosi di soccorso e desiderosi di vivere. Non si fa guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di una Facoltà Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata.
Appena il 21 giugno papa Francesco ha partecipato ad un convegno nella Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale nella quale lavoriamo e ci ha incoraggiato dicendoci: «La teologia – tenendo la mente e il cuore fissi sul “Dio misericordioso e pietoso” (cfr Gn 4,2) – può aiutare la Chiesa e la società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria. Ambedue nascono, si alimentano e crescono dalla paura. La teologia non si può fare in un ambiente di paura». Per questo motivo noi non possiamo insegnare teologia rimanendo indifferenti alla progressiva crescita di paura, di terrore, di sospetti, di accuse, di minacce, di incitamento alla violenza e all’odio. E proprio perché rifiutiamo la paura vogliamo fino in fondo svolgere il nostro ruolo di insegnanti e ci associamo a quanto ha scelto di fare la comandante Rackete, perché il primato della coscienza e dell’umanità resterà sempre superiore a tutte le leggi umane, soprattutto quelle leggi che fomentano paure e aprono la strada alle persecuzioni. Facciamo questo proprio ispirandoci a quanto ancora ci ha detto papa Francesco il 21 giugno: «È importante che i teologi siano uomini e donne di compassione – sottolineo questo: che siano uomini e donne di compassione –, toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo “mare comune”».
Le scriviamo, signor Presidente, motivati anche da quell’imperativo morale che ci richiama il Concilio Vaticano II nella Costituzione PastoraleGaudium et spes: «I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema, urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell’opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un’opera di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino» (n. 82). E noi sollecitati da queste istanze conciliari, prendiamo posizione chiara in spirito di collaborazione al Suo servizio di Capo di Stato poiché come insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale inseriti nei corsi formativi della Sezione San Luigi, retta dai padri Gesuiti, ormai da anni ab- biamo promosso un percorso di approfondimento epistemologico e di revisione dei corsi accademici, teso a contestualizzare l’insegnamento teologico nel solco della Tradizione di fede e all’interno delle coordinate socio territoriali del Meridione d’Italia nel quale viviamo e per il quale formiamo i nostri studenti. In tempi recenti il raggio d’interesse e di approfondimento si è esteso all’orizzonte del Mediterraneo, quale bacino culturale che raccoglie le sfide di civiltà e d’integrazione storicamente raggiunte come traguardi di vera umanità e oggi, purtroppo, compromesse da preoccupanti tentativi di chiusure e irrigidimenti sistemici verso le altre civiltà che si affacciano sullo stesso mare. Come insegnanti, signor Presidente, siamo molto allarmati da questo crescente clima di odio e di aggressione continua soprattutto nei confronti di impoveriti, indeboliti e sfruttati. Questo clima non potrà non avere conseguenze gravissime nella formazione di un comune sentire degli italiani, soprattutto dei più giovani nei cui confronti abbiamo il dovere di dire la verità, di promuovere il dialogo e l’accoglienza, di mostrare il bene della nonviolenza e non favorire e sostenere la mistificazione e l’intolleranza che sfociano inevitabilmente nell’odio.
Per questi motivi, signor Presidente, non lasceremo sola la comandante Rackete che con la sua disobbedienza civile ha dimostrato una passione per l’umanità esemplare e associandoci alla comandante attendiamo di essere anche noi processati. Voglia accogliere, signor Presidente, la nostra più viva partecipazione all’impegnativo compito che lei assolve a servizio dell’Italia anche in questi mesi sempre più difficili per coloro che hanno come faro la nostra Costituzione e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sempre più spesso calpestate dalle esigenze della propaganda e del consenso elettorale». Tutti noi firmatari siamo insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione san Luigi.
Giorgio Agnisola, Giuliana Albano, Enzo Appella, Luigi Azzariti-Fumaroli, Luigi Borriello, Anna Carfora, Umberto Rosario Del Giudice, Giuseppina De Simone, Giovanni Di Napoli, Ettore Franco, Dario Garribba, Lorenzo Gasparro, Annalisa Guida, Antonio Ianniello, Giorgio Jossa, Nicola Lanza, Sabatino Majorano, Giorgio Marcello, Jluis Narvaja, Armando Nugnes, Cosimo Pagliara, Andrea Patauner, Valerio Petrarca, Agostino Porreca, Matteo Prodi, Bartolomeo Puca, Salvatore Purcaro, Nicola Salato, Emilio Salvatore, Lucio Sembrano, Sergio Tanzarella, Gianfranco Terziani.
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Caro direttore,
noi tutti, membri della presidenza dell’Atism (Associazione teologica italiana per lo studio della Morale), esprimiamo profonda preoccupazione per alcune dinamiche manifestatesi in relazione alla vicenda della nave “Sea Watch” e del suo comandante Carola Rackete. La complessità dei fatti – cui peraltro hanno messo un punto fermo la mancata convalida dell’arresto da parte della comandante da parte del Gip di Palermo, Alessandra Vella, e la liberazione della stessa comandante – non oscura, infatti, le molte drammatiche contraddizioni presenti nei comportamenti e nelle parole di alcuni soggetti, anche istituzionali. Preoccupa soprattutto il tentativo insistito di presentare come reato l’impegno per il soccorso nei confronti di chi si trova in situazioni di pericolo grave e potenzialmente letale. Tale tendenza, sostenuta in modo anche violento da parecchi soggetti è, infatti, profondamente distante dalla grande tradizione morale dell’Occidente, che ha un riferimento primario nella “Regola d’Oro”: ciò che vorresti fosse fatto a te, tu fallo ad altri. La stessa parabola evangelica del Samaritano illustra efficacemente una prospettiva in cui l’amore del prossimo e la pratica della cura per chi è nel bisogno sono doveri primari per ogni soggetto responsabile. Delegittimare la solidarietà e chi la pratica significherebbe invece abbandonare un riferimento fondante per un Paese che già nell’articolo 2 della sua Costituzione chiama all’«adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Desideriamo in tal senso esprimere profonda soddisfazione per le motivazioni della decisione del già citato Gip di Palermo, che sottolineano come persino la resistenza a pubblico ufficiale da parte della comandante Rackete debba essere valutata alla luce del suo sforzo di adempiere il dovere di salvare vite umane in mare. In tale nitida affermazione trova espressione giuridica un dato di profondo valore morale: la prevalenza degli obblighi di soccorso e di cura del debole rispetto ad altre esigenze, anche di grande rilievo. Vorremmo che tale principio fosse chiaramente assunto come riferimento chiave per questo dibattito, così come per l’intera vita civile e politica del Paese.
Pier Davide Guenzipresidente Atism
con i membri del Consiglio di presidenza

Paolo Benanti, Salvatore Cipressa, Pietro Cognato, Gaia De Vecchi, Salvino Leone, Michele Mazzeo, Simone Morandini