IL
“PROBLEMA EUROPA” NEL PENSIERO DI ROMANO GUARDINI1
L’Europa,
risposta a un problema sommamente personale.
“Per
motivi di professione la mia famiglia si trasferì in Germania; e
mentre in casa si parlava e si pensava
in italiano, io
crebbi spiritualmente in seno alla lingua e alla cultura tedesca”.
Così
Romano Guardini presenta il “suo” problema, a cui pure bisognava
dare una risposta. Nato in Italia e figlio di genitori che si
sentivano profondamente italiani, anche se per motivi di lavoro si
erano trasferiti in Germania, Guardini rimane legato alla prima
patria, l’Italia, e tuttavia ha imparato ad amare intensamente la
seconda patria, la Germania, in cui si è svolta tutta la sua
formazione culturale e spirituale e si sono annodate le grandi
amicizie che costelleranno la sua esistenza. Guardini vuol pensare,
scrivere, insegnare in tedesco e nel 1911 decide, nonostante
l’opposizione esplicita dei genitori, di assumere la cittadinanza
tedesca.
Continuerà a visitare l’Italia e a nutrirsi della sua
arte e della poesia di Dante; le sue soste nella patria di origine
saranno frequenti e prolungate, inizialmente sul lago di Como e poi a
Isola Vicentina, dove gli era caro preparare le sue lezioni,
camminando tra gli alberi che contemplava senza mai stancarsi.
Anche
dopo la scelta del 1911 la doppia appartenenza alle due patrie non fu
priva di conflitti e lacerazioni; ma la grandezza di Romano Guardini
ebbe modo di affermarsi proprio perché egli fece leva su ciò che
avrebbe potuto costituire motivo di scissione interiore per costruire
una superiore visione della vita e la sua stessa personalità, una
delle più ricche e armoniche del Novecento. Guardini riuscì a non
trasformare l’effettiva diversità di apporti e di risonanze, che
s’intersecavano nella sua esistenza, in contrasto insanabile e
reciproca esclusione. Maturò, infatti, in lui l’intima convinzione
che può cogliere della vita il senso più alto solo chi non sopprime
o mette a tacere le “tensioni polari” (Gegensätze)
come se si trattasse di contraddizioni (Widersprüche)
fra le quali bisogna scegliere. Per Guardini sarebbe stato, infatti,
paralizzante dover optare fra l’immediatezza intuitiva e la
chiarezza latina da un lato e, dall’altro, la riflessività e la
sensibilità tedesca: in realtà le une hanno bisogno delle altre, le
prime per non scadere a superficialità, le seconde per non finire in
astratto cerebralismo.
Ciò
che deve risultare chiaro è che ogni nazione, ogni popolo, ogni
cultura reca in sé, accanto a eredità negative di cui liberarsi,
dei “doni” preziosi che offre disinteressatamente agli uomini che
fanno parte di altre nazioni, popoli e culture. Occorre, però, un
elemento comprensivo che permetta insieme di salvaguardare le diverse
identità nazionali e il superamento della loro chiusura
sciovinistica. Ebbene, quell’elemento comprensivo Romano Guardini
lo trovò quando scoprì che cosa significava essere europeo,
divenire europeo. Per lui la “scoperta” dell’Europa significò,
infatti, trovare anche “la
risposta a un problema sommamente personale”.
I
quattro saggi di Romano Guardini sull’Europa.
Romano
Guardini, la cui vita è compresa tra 1885 e il 1968, è una delle
maggiori figure della storia culturale europea ed è altresì una
delle più affascinanti. I suoi libri, man mano che nascevano, sono
stati tradotti in Italia dalla Morcelliana di Brescia, talora
addirittura prima che apparisse l’edizione tedesca. E ora la
Morcelliana ha iniziato – con Scritti
politici, uscito
nel gennaio 2005 - la pubblicazione delle Opere
complete
dell’illustre maestro.
Nell’aprile
del 2004, a cura di Silvano Zucal, era apparso in traduzione italiana
sempre presso l’editrice bresciana, Europa
- Compito e destino,
in cui sono raccolti i quattro saggi sull’Europa che il pensatore
cristiano compose in momenti diversi, nell’arco di un quarantennio.
Il primo di essi, in cui si affronta un argomento decisivo, Il
rapporto tra coscienza nazionale ed Europa,
risale al 1923, un periodo nel quale l’esplosione della crisi del
primo dopoguerra sembrava travolgere ogni cosa, specialmente in
Germania. Guardini era allora il leader riconosciuto della gioventù
tedesca e fu ad un convegno della Jugendberwegung
che prese la parola su quel tema, quasi per caso, dovendo sostituire
all’ultimo momento il relatore assente. Circostanza questa che
conferì più immediatezza ed efficacia al suo intervento.
Il
secondo testo, il più drammatico, è scritto negli anni bui del
nazismo, quando a Guardini era stata tolta la cattedra universitaria
e il nazionalsocialismo era al potere. La prima redazione è del 1935
ma, la sua pubblicazione avvenne solo nel 1946. Il titolo
estremamente significativo, L’Europa
e Gesù Cristo, fu
poi ripreso nel celebre discorso Europa
e «Weltanschauung» cristiana
tenuto all’Università di Monaco il 17 febbraio 1955.
L’ultimo
contributo fu pronunciato a Bruxelles il 28 aprile 1962 per il
conferimento al grande europeo del Premio Erasmo.
Per
quattro decenni, dunque, Guardini ha riflettuto sull’Europa, sul
suo compito e sul suo destino. Il suo piccolo, grande libro merita
l’attenzione e la gratitudine di coloro che pensano all’Europa
come alla loro patria più grande e a una grande speranza per
l’umanità intera.
Il
compito dell’Europa nel mondo d’oggi.
Una
delle intuizioni più felici di Romano Guardini è che l’Europa
contemporanea ha un grande compito nella storia mondiale proprio
perché essa ha perduto le illusioni da cui tante volte si era
lasciata tentare. “Non
sbaglio certo – scrive
con forza Guardini -
se penso che all’Europa autentica è estraneo l’ottimismo
assoluto, la fede nel progresso universale e necessario. I valori del
passato sono ancora in essa così vivi che le permettono di sentire
che cosa sta in gioco. Essa ha già visto rovinare tante cose, e
spesso in modo irrecuperabile, ed è stata colpevole di tante guerre
omicide, da essere capace di sentire le possibilità creatrici, ma
anche il rischio, anzi la tragedia dell’umana esistenza. Nella sua
coscienza vi è certamente la forma mitica di Prometeo, che porta via
il fuoco dall’Olimpo, ma anche quella di Icaro, le cui ali non
resistono alla vicinanza del sole e che precipita giù. Conosce le
irruzioni della conoscenza e della conquista, ma in fondo non crede
né a garanzie per il cammino della storia, né a utopie
sull’universale felicità del mondo. L’Europa ne sa troppo.
Perciò io credo che il compito affidato all’Europa - compito il
meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce
all’essenziale - sia la
critica della potenza.
Non critica negativa, né paurosa né reazionaria; tuttavia ad essa è
affidata la cura per l’uomo, perché essa ne ha provato la potenza
non come garanzia di sicuri trionfi, ma come destino che rimane
indeciso dove condurrà”.
L’Europa
ha creato l’età moderna; ma ha tenuto ferma la connessione col
passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività,
sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito
riservatole, dunque, non consiste nell’accrescere la potenza che
viene dalla scienza e dalla tecnica - benché naturalmente farà
anche questo - ma nel domare questa potenza e nella rinuncia
definitiva a ogni idea di impero, che gronda sempre di lacrime e
sangue.
Una
“forza di servizio” per tutti.
L’Europa
è un fatto politico, economico, tecnico, ma è soprattutto una
disposizione di spirito, un sentimento. Al formarsi di questo
sentimento si oppongono e si opporranno sempre forti resistenze. “Il
compito dell’Europa
può essere
adempiuto se ciascuna delle sue nazioni ripensi la sua storia e
intenda il suo passato in relazione al costituirsi della federazione
europea. C’è nella storia del nostro continente un esempio che ci
può mettere in guardia e mostrare quanto pericolo vi sia di
sbagliare. Noi non possiamo dimenticare che, ad esempio, i greci
hanno fallito di fronte all’obiettivo storico di creare uno Stato
che abbracciasse insieme la ricchezza vitale di tutte le diverse
etnie. Anche l’Europa può mancare la sua ora”.
Ma essa sa che oggi il mondo le chiede di diventare “una forza di
servizio”, che sia responsabile per la vita di tutti e s’impegni
a far sì che le cose della terra divengano giuste. Il compito è
arduo, tuttavia la struttura essenziale dell’Europa c’è; la
vediamo in ogni gesto, la sentiamo con intensità nuova. Siamo
pertanto fiduciosi che l’Europa continuerà ad essere soggetto di
storia, e di una storia più alta.
Anche
in questi saggi lo stile di Guardini è intensamente partecipe ed
elevato. Mi piace, pertanto, concludere con una citazione in cui il
pensatore tedesco dà voce al suo amore per l’Europa:
“Ancora
sempre mi commuovo nel cuore quando sulla carta geografica vedo
l’immagine dell’Europa: la configurazione piccola e graziosa -
non so più chi l’abbia detto - come fosse disposta dal cesello di
un orafo tra i colossi Asia, America, Africa. La ricchezza delle sue
forme, l’insinuarsi reciproco tra il mare e la terra, la
molteplicità delle sue situazioni etniche dalle Alpi fino alla
pianura più bassa - tutto questo appare come una preparazione al
destarsi dello spirito più luminoso a opere grandi e audaci
imprese”.
1 Città e Dintorni, n.88, aprile 2006.