Adolfo Pérez Esquivel |
Dios no mata. Intervista a Adolfo Pérez Esquivel, premio nobel per la pace.
(pubblicato su “L’Adige” del 3 luglio 2012, pag.13 - originale)
L’uomo, non
potendo «uccidere» Dio, lo allontana come fosse uno straniero con
il «foglio di via». Invece «Dio non uccide».
«Dios no mata» è
la frase che Adolfo Pérez Esquivel, (premio Nobel per la pace 1980,
nato nel 1931 a Bueons Aires) aveva visto scritta con il sangue in
una prigione, detta «tubo» perché molto bassa. L’aveva scritto
qualcuno che, come lui, era stato incarcerato e torturato dal regime
dittatoriale del presidente Videla, nel 1977. Esquivel sarà a Trento
questa sera (ore 20.30, Sala grande del Castello del Buonconsiglio;
modera Francesco Comina del Centro Pace di Bolzano) e per l’occasione
sarà presentato il libro «Dio non uccide» di Arturo Zilli (editore
Il Margine). Il libro ricostruisce la biografia di Esquivel, segnata
da un grande impegno profetico per la non violenza, unita alla
pratica della teologia della liberazione.
Oggi è presidente
del Tribunale permanente per i diritti dell’uomo e del Servizio
pace e giustizia, organizzazione internazionale (la referente
italiana, Grazia Tuzi, lo sta accompagnando in questa serie di
incontri italiani). La Provincia di Trento attualmente sta sostenendo
un suo progetto a Buenos Aires per un centro giovanile.
Ma molti sono i
segnali di «restaurazione» in America Latina.
Sembra si voglia
porre fine alla stagione dei governi democratici: Esquivel ha già
avuto modo di segnalarlo prendendo una posizione di netta condanna
alla cerimonia in omaggio al dittatore Pinochet avvenuta in Cile con
l’appoggio del governo di Sebastián Piñera. Gli abbiamo domandato
quale sia la situazione attuale:
«L’America Latina vive un momento di forti contraddizioni: c’è stato un golpe di stato in Honduras, attualmente anche in Paraguay, ci sono difficoltà in Guatemala, Salvador. Un situazione piuttosto grave c’è in Colombia, in Messico, con gravi violazioni dei diritti umani e una democrazia troppo “formale” e poco reale. Più che una democrazia consolidata c’è una apparenza di democraticità: guardiamo ad esempio al Cile, con la forte repressione degli studenti. Un Paese che dice di applicare leggi “anti-terrorismo”, ma nasconde il “terrorismo di Stato”. Anche in Colombia, in Honduras, in Argentina: ci sono delle forti repressioni dei movimenti sociali. I governi autoritari si stanno rinforzando, a discapito della democrazia. La situazione dei diritti umani in Messico, anche se a breve ci saranno nuove elezioni, non credo che cambierà di molto. Questo il panorama attuale: la crisi economica generale inoltre ci dice che la povertà si potrebbe superare solo con delle serie politiche sociali».
«L’America Latina vive un momento di forti contraddizioni: c’è stato un golpe di stato in Honduras, attualmente anche in Paraguay, ci sono difficoltà in Guatemala, Salvador. Un situazione piuttosto grave c’è in Colombia, in Messico, con gravi violazioni dei diritti umani e una democrazia troppo “formale” e poco reale. Più che una democrazia consolidata c’è una apparenza di democraticità: guardiamo ad esempio al Cile, con la forte repressione degli studenti. Un Paese che dice di applicare leggi “anti-terrorismo”, ma nasconde il “terrorismo di Stato”. Anche in Colombia, in Honduras, in Argentina: ci sono delle forti repressioni dei movimenti sociali. I governi autoritari si stanno rinforzando, a discapito della democrazia. La situazione dei diritti umani in Messico, anche se a breve ci saranno nuove elezioni, non credo che cambierà di molto. Questo il panorama attuale: la crisi economica generale inoltre ci dice che la povertà si potrebbe superare solo con delle serie politiche sociali».
Un bilancio sulla
presidenza di Obama: cosa ha fatto per l’America Latina e per la
pace?
«Non sta facendo
nulla. Non ha terminato la guerra in Iraq e Afghanistan e in America
Latina sta imponendo e sostenendo i regimi militari in tutto il
continente, senza cambiare atteggiamento con Cuba. Obama non ha
modificato assolutamente nulla».
Lei non si era
illuso, come molti, che le cose potessero cambiare con la
presidenzadi un nero democratico?
«Non ha il
potere: ha la presidenza. Il potere vero è nelle mani delle grandi
corporazioni economiche e del complesso industriale di tipo
militare».
In «Dios no mata», il libro, si parla anche del periodo in cui lei fu torturato in prigione: cosa le resta di quella tremenda esperienza?
«È stata appunto
una esperienza di vita: mi definisco un “apprendista” della vita.
E la violenza subita fa parte della mia vita».
Un’esperienza positiva, invece, è stato l’incontro con la teologia della liberazione. Pensa che quel metodo di interpretare il cristianesimo sia ancora valido oggi?
«La intendo come
il cammino dei popoli: ha la capacità di mettere assieme il sentire
autentico dei cristiani e la loro spiritualità con un’azione
concreta nella vita. La radice della teologia della liberazione:
mettere in pratica il principio evangelico “ama il tuo prossimo
come te stesso”».
Dio non uccide, ma, pensando anche alla vicenda di Gesù Cristo, l’uomo uccide Dio.
Dio non uccide, ma, pensando anche alla vicenda di Gesù Cristo, l’uomo uccide Dio.
«Mi sembra
un’eccellente questione: il fatto è che siccome l’uomo non
riesce a uccidere una volta per tutte Dio, allora lo allontana,
rendendolo uno “straniero” da espellere dalla propria società.
Invertiamo questa tendenza e facciamo in modo che Dio non si senta
uno straniero in mezzo a noi».
Guardando all’Europa di oggi: la crisi economica sembra l’unica vera preoccupazione; il Pil, la crescita. Quali valori invece dovrebbero rifiorire secondo Esquivel?
«Noi in America
Latina viviamo da tempo questa crisi economica. Una crisi permanente.
Ormai è come una sorella maggiore. A tratti la amiamo e spesso la
odiamo. Crisi deriva da “crescita”, da
una crisi può nascere Pérez Esquivel, «Nobel» per avere
denunciato gli abusi della dittatura militare argentina negli anni
’70 una evoluzione, verso una nuova vita. Oppure possiamo
retrocedere. Di fronte alla crisi dobbiamo diventare creativi. Per
esempio: l’Europa che ha tanti problemi, potrebbe guardare al
sistema delle “fabbriche recuperate” che abbiamo messo in pratica
noi in America Latina. Dove, tramite la partecipazione popolare, non
si scambia più il lavoro con la merce. Ma si produce anche cultura,
arte. Perché il problema della crisi non è solo economico: la crisi
è dei valori. Siamo in una società ormai quasi totalmente
indirizzata verso l’individualismo. Dobbiamo
recuperare il concetto di “comunità” e di partecipazione
sociale. Tutti pensano che
il male sia economico: ma il problema centrale è che il “prezzo”
di una merce e il valore non sono la medesima cosa. Recuperare il
valore non ha un "prezzo"».