Secondo le stime dell’Osservatorio Mil€x per l’anno 2022 la spesa militare da parte del Ministero della Difesa sfiorerà i 26 miliardi di euro (25.935 milioni per la precisione) con una crescita di 1.352 milioni di euro +5,4% rispetto al 2021.
Articolo di Tommaso Panza per il Digitale
Il governo Draghi tenta di fare l’ultimo (?) regalo al popolo italiano. Anche per il bilancio previsionale di Stato referente all’anno 2022 si avrà un corposo incremento del budget per il ministero della Difesa, nonché dell’intera spesa militare nazionale.
Secondo le analisi riportate dall’Osservatorio Mil€x il bilancio del ministero della Difesa per l’anno in corso vedrà gonfiarsi le cifre a disposizione della spesa militare di 1,35 miliardi di euro, il 5,4% in più del 2021.
Da ricordare che il grande escluso nell’ultima legge di bilancio è stato il bonus salute mentale per tutti coloro non in grado di sostenere economicamente un percorso di psicoterapia.
La legge del 30 dicembre 2021, Legge di Bilancio, da 36.5 miliardi di euro è entrata in vigore lo scorso 1° gennaio.
Il governo Draghi, per l’anno corrente, ha previsto fondi destinati al sostegno psicologico degli studenti, ma non ha previsto alcun sussidio per chi necessita di assistenza psicologica, soprattutto da quando è cominciata la pandemia.
L’aumento per l’anno 2022 vede protagonista al rialzo proprio il bilancio del ministero della Difesa del governo Draghi che quest’anno per la spesa militare sfiora complessivamente i 26 miliardi di euro (25.935 milioni) con una crescita di 1.352 milioni di euro (+5,4% rispetto al 2021).
L’aumento è derivato da decisioni prese in passato: il bilancio attuale prevedeva in realtà un totale complessivo di 25.904 milioni, ci sarebbero in più “solo” circa 31 milioni (Sezione I della Legge di Bilancio).
Le voci interne per l’incremento del bilancio della Difesa del governo Draghi sono così distribuite:
2022 | 2021 | Differenza % | |
MINISTERO DELLA DIFESA | |||
Stato Maggiore, Segretariato Generale, BilanDIFE | € 7.980.894.002,00 | € 6.783.656.906,00 | 17,65% |
Esercito | € 5.551.699.569,00 | € 5.547.954.688,00 | 0,07% |
Marina Militare | € 2.241.884.450,00 | € 2.020.782.729,00 | 10,94% |
Aeronautica Militare | € 2.891.680.221,00 | € 2.978.096.301,00 | -2,90% |
Carabinieri | € 543.000.000,00 | € 586.000.000,00 | -7,34% |
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO | |||
Capitoli di spesa acquisizione nuovi sistemi d’armamento | € 2.892.498.073,00 | € 3.258.851.803,00 | -11,24% |
MINISTERO DELLA DIFESA | |||
Fondo missioni all’estero (solo parte militare) | € 1.257.750.000,00 | € 1.334.610.000,00 | -5,76% |
INPS | |||
Quota pensioni militari | € 2.300.000.000,00 | € 2.300.000.000,00 | 0,00% |
ALTRI FONDI diretti | € 164.247.720,00 | € 164.247.720,00 | 0,00% |
TOTALI | € 25.823.654.035,00 | € 24.974.200.147,00 | 3,40% |
Come evidenziato a più riprese dall’Osservatorio Mil€x “l’importo totale del Bilancio della Difesa è solo il punto di partenza per valutare la spesa militare italiana complessiva”, che come si vede nella tabella deve registrare le cifre da distribuire ad altri ministeri (principalmente il fondo per le missioni militari all’estero che viene istituito presso il ministero dell’Economia e delle Finanze e i fondi che il ministero per lo Sviluppo Economico mette a disposizione per acquisizione e sviluppo di sistemi d’arma).
Sottraendo “per coerenza di destinazione e tipologia di utilizzo” la grande maggioranza del bilancio all’Arma dei Carabinieri (in particolare la parte forestale) che viene considerata solo per la componente legata alle missioni all’estero.
L’Osservatorio Mil€x analizza la spesa militare del governo Draghi
La nuova metodologia di studio dell’Osservatorio Mil€x sulla spesa militare, prevede inoltre altre voci: quota parte costo basi USA, ammortamenti mutui su spesa armamenti MISE, impatto delle pensioni militari.
Secondo queste analisi abbiamo una valutazione tendenziale della spesa militare complessiva per il 2022 del governo Draghi pari a circa 25,82 miliardi di euro (che diventano 26,49 miliardi con ulteriori costi indiretti).
Ciò significa un aumento di 849 milioni rispetto alle medesime valutazioni effettuate sul 2021 con una crescita percentuale del 3,4% rispetto all’anno precedente e di addirittura dell’11,7% sul 2020 e del 19,6% sul 2019.
I dati sono raggruppati in macro voci e non forniscono dettagli su quali siano i sistemi d’armamento che verranno acquisiti, le specificità dei sistemi di armamento sono riportate nel Documento Programmatico Pluriennale del Ministero della Difesa.
L’incremento totale del governo Draghi sulla spesa militare è dunque così diviso: poco oltre i 5,39 miliardi di euro (in crescita di ben 1,3 miliardi) nel bilancio del ministero della Difesa e 2,89 miliardi complessivi (- 350 milioni rispetto allo scorso anno) in quello del ministero per lo Sviluppo Economico.
A questi andrebbero aggiunti ulteriori 105 milioni per gli interessi sui mutui accesi dallo Stato per conferire in anticipo alle aziende le cifre stanziate per specifici progetti d’arma pluriennale.
Ciò porta dunque ad un nuovo record di fondi destinati all’acquisto di nuove armi che arrivano ad un totale di 8,27 miliardi, superiore di un miliardo (+13,8%) alla cifra complessiva del 2021 (che a sua volta costituiva un massimo storico) e con un salto del 73,6% negli ultimi tre anni (+3,512 miliardi rispetto ai 4,767 miliardi del 2019).
dalla pagina https://www.micromega.net/2022-record-spesa-militare-italiana/
2022, anno record per la spesa militare italiana
Il Bilancio del ministero della Difesa per il 2022 sfiora i 26 miliardi di euro con un aumento di 1,35 miliardi. A cosa servono tutte queste armi?
Giorgio Pagano
Cinquanta premi Nobel e scienziati di ogni Paese – tra gli altri Carlo Rubbia e Giorgio Parisi – hanno rivolto un appello, in modo semplice e diretto, ai governi del mondo per una riduzione concordata della spesa militare del 2 per cento ogni anno, per cinque anni. Domenico Gallo, su MicroMega.net, ha giustamente evidenziato sia l’importanza politica del documento sia il fatto che la politica non si sia sentita minimamente interrogata: “Questa notizia semplicemente è sparita dai radar della politica. Nessuno dei leader politici italiani, adusi a una presenza attiva nel teatrino politico italiano, in questi giorni particolarmente impegnati in un vacuo chiacchiericcio sul Quirinale, ha reputato di spendere una sola parola sulla proposta dei cinquanta premi Nobel, nemmeno per dire: non sono d’accordo”.
Il motivo è chiaro: l’unanime adesione delle forze politiche al forte incremento, anche in Italia, delle spese militari.
Il Presidente del Consiglio Draghi lo aveva detto il 29 settembre dello scorso anno durante la conferenza stampa sulla “Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza” (Nadef), il primo passo in vista dell’elaborazione della legge di bilancio: “Ci dobbiamo dotare di una difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più di quanto fatto finora”.
Draghi è stato di parola. La spesa militare prevista per il 2022 supererà il muro dei 25 miliardi di euro (25,8 miliardi). Il dato si ricava dal report dell’Osservatorio Milex sul bilancio previsionale dello Stato per il 2022: “Il Bilancio del ministero della Difesa per il 2022 sfiora i 26 miliardi di euro con un aumento di 1,35 miliardi, ma vanno poi aggiunti gli stanziamenti di altri ministeri”.
Dal 2017 la spesa militare italiana ha continuato a crescere soprattutto per l’acquisto di nuovi armamenti: lo stanziamento nel 2022 segna un record storico. Spiega Giorgio Beretta, analista della Rete Pace e Disarmo:
“Nei mesi scorsi il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha sottoposto all’approvazione del Parlamento un numero senza precedenti di programmi di riarmo: diciotto, di cui ben tredici di nuovo avvio, per un valore già approvato di 11 miliardi di euro e un onere complessivo previsto di 23 miliardi. La parte del leone è dell’Aeronautica con programmi per oltre 6 miliardi di euro. C’è di tutto: dai fondi per il nuovo cacciabombardiere Tempest (2 miliardi dei 6 previsti) che si aggiungerà agli F-35, ai nuovi eurodroni classe Male; dagli aerei Gulfstream per la guerra elettronica alle nuove aerocisterne per il rifornimento in volo. Una grossa fetta della torta è destinata alle nuove batterie missilistiche antiaeree per missili Aster (2,3 miliardi di euro) e ai nuovi blindati Lince: ben 3.600 rimpiazzeranno i 1.700 già in dotazione all’Esercito. Non solo. Negli ultimi giorni dell’anno ne sono stati aggiunti cinque portando a ventitré il numero dei programmi che il ministro della Difesa ha inviato alle Camere nel 2021 (record storico assoluto) per un valore complessivo che supera i 12 miliardi di euro e autorizzazioni di spesa annuale per oltre 300 milioni nel 2021 e per quasi mezzo miliardo nel 2022”.
Se ne discute molto poco, e in un contesto di “unità nazionale” ben prima del governo Draghi. La domanda chiave è: a cosa servono tutte queste armi? Si può rispondere solo cercando di comprendere il “nuovo concetto di difesa” in elaborazione da anni, per cui il concetto di difesa non si applica più ai confini nazionali ma agli interessi economici e geo-strategici, cioè ovunque l’interesse nazionale possa essere minacciato.
La “Direttiva per la politica industriale della Difesa“ emanata lo scorso luglio da Guerini, è inserita in questo contesto ed esprime un’ulteriore novità: l’Italia deve “disporre di uno strumento militare in grado di esprimere le capacità militari evolute di cui il Paese necessita per tutelare i propri interessi nazionali” per dare impulso “al consolidamento del vantaggio tecnologico e, quindi, della competitività dell’industria nazionale di settore”. Si tratta, rileva Beretta, di “una novità assoluta non solo perché è la prima direttiva in materia di politica industriale-militare emanata del dopoguerra, ma soprattutto perché definisce un inusitato rapporto tra industria e forze armate: le sinergie tra la Difesa e l’industria militare travalicano infatti le consuete esigenze di modernizzare gli strumenti militari e vengono rese funzionali alla ‘proiezione internazionale’ dell’Italia”.
Da qui la necessità, come spiega sempre Guerini, di superare il rapporto tra le Forze Armate e l’industria di tipo “cliente-fornitore” per favorirne invece la sinergia come “Sistema Difesa” finalizzata, tra l’altro, alla “proiezione sui mercati esteri” degli armamenti. In una parola: il ministero della Difesa viene messo al servizio dell’industria degli armamenti. In aperto contrasto con la Costituzione.
Ma c’è un’altra grande questione ancora, di cui si parla troppo poco. L’Italia è in procinto di raddoppiare il contingente militare in Iraq per poter assumere il comando della missione della Nato: trasformerà la partecipazione militare italiana in una vera operazione di combattimento rispetto a quella che finora era solo una presenza per la difesa di aree sensibili e per l’addestramento dell’esercito iracheno. Per adempiere al nuovo compito i vertici militari si sono affrettati a chiedere di poter armare i droni Reaper con missili aria-terra e bombe a guida laser – trasformandoli così da semplici ricognitori a veri bombardieri – e di dotarsi di una flotta di Hero-30, i cosiddetti “droni kamikaze” che si autodistruggono nel colpire l’obiettivo. La missione diventa in questo modo la principale missione italiana all’estero. Ma perché una missione così consistente?
Forse il vero scopo è quello di proteggere gli interessi delle multinazionali del petrolio e del gas. Come ha rivelato una ricerca di Greenpeace, due terzi delle spese delle operazioni militari all’estero dei Paesi europei riguardano la difesa di fonti fossili: l’Italia negli ultimi quattro anni ha speso 2,4 miliardi di euro nelle missioni militari collegate a piattaforme estrattive, oleodotti e gasdotti che riguardano l’ENI.
Dopo la disastrosa missione in Afghanistan ci stiamo imbarcando in questa nuova operazione militare. Senza alcun dibattito pubblico sui suoi obiettivi. Hanno ragione le quarantasette organizzazioni, coordinate dalla Rete Pace e Disarmo, che in un loro documento hanno chiesto la sospensione della guida italiana della NATO in Iraq.
Il compito degli europei, si legge nel documento, dovrebbe essere quello di favorire la liberazione dell’Iraq dalla morsa del conflitto che oppone Stati Uniti e Iran. E sostenere lo sviluppo economico, la democrazia e i diritti umani. Ma questo non si fa con gli eserciti, bensì “collaborando con l’attivo sostegno alla società civile irachena”. Una tale missione di addestramento “dopo quanto successo in Afghanistan, su cui non si è nemmeno fatta una seria analisi, dovrebbe almeno essere rivalutata. Il rischio concreto è che l’Italia rimanga invischiata nella lotta per il controllo dell’Iraq, per conto di altri Paesi, senza nemmeno un dibattito pubblico. E senza che ne abbia nemmeno un diretto interesse. Con la conseguenza, tra l’altro, di nuovi gravi rischi anche per la sicurezza delle organizzazioni umanitarie italiane che lì operano. Rischi dovuti alla confusione tra presenza civile e militare”. Le quarantasette organizzazioni firmatarie concludono: “Chiediamo la sospensione della decisione di assumere la guida della NATO in Iraq e del processo di acquisizione di questi armamenti. E l’apertura di un dibattito pubblico, o almeno parlamentare, su modelli, obiettivi, strumenti della attuale presenza italiana in Iraq”.
Possibile che le lezioni della storia non ci insegnino nulla?
(credit foto ANSA/GIUSEPPE LAMI)