Coldiretti schierata sempre più contro il Ceta, il trattato di libero scambio commerciale con il Canada.
“No all’accordo di scambio con il Canada. Ci rimettiamo in ogni
senso: offriamo un mercato da oltre 700 milioni di consumatori contro
uno di appena 36 milioni. E in più abbattiamo le barriere sulla
sicurezza alimentare” sostiene Ettore Prandini, presidente di Coldiretti
Lombardia.
“Mi stupisco che rappresentanti dei Consorzi di gloriose Dop, come il
Grana Padano, il Parmigiano reggiano, festeggino l’intesa con il
Canada, dimenticandosi che per quattro forme di formaggio che
esporteranno in più chiudono gli occhi sul fatto che in quel Paese si
continueranno a vendere liberamente formaggi simil-Gorgonzola, Asiago,
Fontina, ma anche il famigerato Parmesan. Oppure il prosciutto
contrassegnato con il marchio “Parma” di una società canadese che ha
registrato il marchio. Non vedo uno scambio equilibrato”.
Ogm e glifosato
“Gli italiani – spiega Prandini – devono sapere che con questo accordo potrebbe essere rimessa in discussione la decisione presa in Europa sugli Ogm, rischierebbero di aprirsi autostrade all’ingresso di carne agli ormoni, oggi c’è il divieto, ma tutto tornerebbe in gioco, di grano duro di bassa qualità trattato con glifosato che da noi è stato bandito, che diventerà pasta finta italiana, di prodotti con standard di sicurezza sanitaria lontani da quelli strettissimi di casa nostra, di carne suina che si trasformerà in salumi che nulla hanno a che vedere con il nostro Paese. Il tutto sarà agevolato perché si eliminano quelle barriere non solo tariffarie che abbiamo voluto per impedire che sulle nostre tavole arrivino cose che fanno male alla salute”.
Infine Prandini sostiene: “E poi un soggetto, ad esempio una grande
industria alimentare canadese, che riterrà che queste barriere non siano
del tutto state rimosse, potrà chiamare in causa il Paese che si è reso
responsabile di ciò chiedendo i danni. Insomma., con questo accordo ci
stiamo facendo male da soli. Non lasceremo che l’ultima parola sia
quella dei 28 europarlamentari europei italiani su 73 che hanno risposto
sì assecondando, spero in modo non consapevole, gli interessi di
qualche multinazionale”.