C’è un debito estero dei Paesi poveri che non viene condonato, e anzi
si è trasformato in uno strumento di controllo mediante cui i Paesi
ricchi continuano a depredare e a tenere sotto scacco i Paesi
impoveriti, dice il papa (e la Grecia è lì a testimoniare per lui).
Ma il “debito ecologico” che il Nord ricco e dissipatore ha
contratto nel tempo e soprattutto negli ultimi due secoli nei
confronti del Sud che è stato spogliato, nei confronti dei poveri cui
è negata perfino l’acqua per bere e nei confronti dell’intero
pianeta avviato sempre più rapidamente al disastro ecologico,
all’inabissamento delle città costiere, alla devastazione delle
biodiversità, non viene pagato, dice il papa ( e non c’è Troika o
Eurozona o Banca Mondiale che muova un dito per esigerlo).
La denuncia del papa («il mio appello», dice Francesco) non è
generica e rituale, come quella di una certa ecologia “superficiale
ed apparente” che si limita a drammatizzare alcuni segni visibili
di inquinamento e di degrado e magari si lancia nei nuovi affari
dell’economia “verde”, ma è estremamente circostanziata e precisa:
essa arriva a lamentare che la desertificazione delle terre del
Sud causata dal vecchio colonialismo e dalle nuove
multinazionali, provocando migrazioni di animali e vegetali
necessari al nutrimento, costringe all’esodo anche le popolazioni
ivi residenti; e questi migranti, in quanto vittime non di
persecuzioni e guerre ma di una miseria aggravata dal degrado
ambientale, non sono riconosciuti e accolti come rifugiati, ma
sbattuti sugli scogli di Ventimiglia o al di là di muri che il
mondo anche da poco approdato al privilegio si affretta ad alzare,
come sta facendo l’Ungheria. L’«appello» del papa giunge poi fino ad
accusare che lo sfruttamento delle risorse dei Paesi colonizzati o
abusati è stato tale che dalle loro miniere d’oro e di rame sono state
prelevate le ricchezze e in cambio si è lasciato loro l’inquinamento
da mercurio e da diossido di zolfo serviti per l’estrazione.
Questa enciclica rappresenta un salto di qualità nella riflessione
sull’ambiente, si potrebbe dire che apre una seconda fase nella
elaborazione del discorso ecologico, così come accadde nel
costituzionalismo quando dalla prima generazione dei diritti,
quelli relativi alle libertà civili e politiche, si passò alla
considerazione dei diritti di seconda e terza generazione,
sociali, economici, ambientali, e cambiò il concetto stesso di
democrazia.
Ora il discorso della giustizia sociale e della condizione dei
poveri, a cui nei Paesi del Sud «l’accesso alla proprietà dei beni e
delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è vietato
da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà
strutturalmente perversi», viene introdotto organicamente da
papa Francesco nella questione ecologica, sicché essa non riguarda
più semplicemente l’ambiente fisico, il suolo, l’aria, l’acqua, le
foreste, le altre specie viventi, ma assume la vita e il destino di
tutti gli esseri umani sulla terra, diventa un’«ecologia integrale», a
cui è dedicato l’intero capitolo quarto dell’enciclica: «Non ci sono
due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e
complessa crisi socio-ambientale», dice il papa; e la prima cosa da
sapere, come dicono i vescovi boliviani ma anche molte altre Chiese, è
che i primi a essere colpiti da «quello che sta succedendo alla
nostra casa comune» sono i poveri. E il salto di qualità è anche nel
rigore dell’analisi, nella cura con cui vengono ricercate tutte le
connessioni tra i diversi fenomeni ed ecosistemi, e anche
nell’onestà con cui si dice che non tutto possiamo sapere, che la
scienza deve fare ancora un grande cammino, e che non si può
presumere di prevedere gli sviluppi futuri, sicché il principio
di precauzione diventa un obbligo di saggezza e di rispetto per
l’umanità di domani, contro l’ideologia della ricerca immediata del
profitto e dell’egoismo realizzato.
Si può capire allora come con questa enciclica che comincia con un
cantico di san Francesco e finisce con una preghiera in forma di
poesia, l’idillio del mondo ricco con papa Francesco sia finito.
«Tocca i cuori di quanti cercano solo vantaggi a spese dei poveri e
della terra», dice il papa nella sua preghiera. «Non occuparti di
politica, perché l’ambiente è politica», gli dicono i ricchi. E
mentre da un lato quello che negli Stati Uniti non si fa chiamare Bush
per riprendersi in famiglia il governo dell’America dice che non si
farà dettare la sua agenda dal papa, dall’altro quello che da noi
pubblica sulle sue felpe messaggi di razzismo e di guerra dice che
non c’è proprio di che essere perdonati per le porte chiuse in
faccia ai profughi e tutti i «clandestini» vorrebbe metterli a
Santa Marta.
«Questo papa piace troppo» diceva la destra più zelante, allarmata al
vedere masse intere di persone in tutto il mondo affascinate da un
pensiero diverso dal pensiero unico. Però si faceva finta di niente,
sperando che la gente non capisse. Il papa diceva che l’attuale sistema
non ha volto e fini veramente umani, e stavano zitti. Diceva che
questa economia uccide, e stavano zitti. Diceva che l’attuale
società, in cui il denaro governa (Marx diceva «il capitale») è
fondata sull’esclusione e lo scarto di milioni di persone, e stavano
zitti. Diceva ai politici che erano corrotti, e stavano zitti. Diceva
ai disoccupati di lottare per il lavoro e ai poveri di lottare
contro l’ingiustizia, e facevano il Jobs Act.
Ma con questa enciclica il gioco di far finta di non capire non sarà
più possibile. Bisognerà stare o dalla parte di Francesco o contro
di lui, perché non sta facendo una predica, sta chiedendo una
scelta. E questo vale non solo per i politici, per gli opinionisti,
per i giornali, vale anche per i vescovi, per i cardinali. E vale
anche per i semplici fedeli perché, scrive Francesco «dobbiamo
riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera,
con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si
fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente».
Quello che infatti da Francesco è posto davanti al mondo è il
problema vero: «il grido della terra» è anche il «grido dei poveri», ma
nel monito che si leva dai poveri perché la loro vita non vada
perduta, c’è un monito che riguarda tutti, perché senza un rimedio,
senza un cambiamento, senza un’assunzione di responsabilità
universale la vita di tutti sarà perduta.
Ed è per questo che l’enciclica di papa Francesco è rivolta a «ogni
persona che abita questo pianeta»: non ai cattolici, e nemmeno
agli «uomini di buona volontà», come faceva la «Pacem in terris» di
Giovanni XXIII, in cui si poteva sospettare ancora un residuo di
esclusione, nei confronti di qualcuno che eventualmente fosse di
volontà non buona. Qui papa Francesco abbraccia veramente tutti
(come ne sono figura essenzialissima per il cristiano le braccia di
Cristo aperte sulla croce) e si pone non come capo di una Chiesa, e
nemmeno come profeta dei credenti, ma come padre della intera
umanità. Perché il messaggio è il seguente: non questa o quella
Potenza o Istituzione, non questo o quello Stato, non quel partito o
movimento, ma solo l’unità umana, solo la intera famiglia umana
giuridicamente costituita e agente come soggetto politico può
prendere in mano la terra e assicurarne la vita per l’attuale e le
prossime generazioni.
Raniero La Valle