venerdì 6 giugno 2014

Come si costruisce la pace? Come si affrontano i conflitti? Spese militari, armamenti...

2014, Presidente degli Stati Uniti d'America, Obama:
  • [da La Stampa] Gli alleati europei degli Stati Uniti hanno la responsabilità di aumentare la spesa nel settore della difesa, in cambio della protezione di Washington richiesta dalla nuova instabilità in Europa. "Abbiamo visto un costante declino, che deve cambiare", ha sottolineato Obama, lamentando i tagli alla spesa militare in tutta Europa in un periodo di austerità economica. 
  • [da L'Avvenire] Obama ha aggiunto che gli alleati europei devono però fare la loro parte aumentando le spese militari, senza fare affidamento solo sulla protezione Usa: «Abbiamo visto un declino costante delle risorse per la difesa e questo deve cambiare», ha detto.
Tre dati relativi alle spese militari di alcuni Paesi nel 2009, espresse in US$ [i dati sono pubblicati da SIPRI]:
  • USA 663.255.000.000 (oltre 663 miliardi)
  • Paesi dell'Unione Europea 321.031.600.000 (oltre 321 miliardi) 
  • Russia 61.000.000.000 (61 miliardi) 
Nella lista del SIPRI, gli USA sono al primo posto, da anni; al secondo c'è la Cina con meno di 99 miliardi di US$; la Russia è al quinto posto... 

Ma al di là delle cifre (che fanno sorgere qualche dubbio), i conflitti come vanno affrontati? Quale ruolo (non) ha la nostra Europa? Chi ha interessi nella corsa agli armamenti? Ora la parola ad alcuni autorevoli documenti della chiesa.

2013, Francesco, esortazione apostolica Evangelii gaudium, n.60:  
I meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta che il consumismo sfrenato, unito all’inequità, danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti. Alcuni semplicemente si compiacciono incolpando i poveri e i paesi poveri dei propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare la soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri addomesticati e inoffensivi. Questo diventa ancora più irritante se gli esclusi vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione profondamente radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni – qualunque sia l’ideologia politica dei governanti.

1986, Giovanni Paolo II, Dominum et vivficantem, n.57:
Bisogna aggiungere che sull'orizzonte della civiltà contemporanea - specialmente di quella più sviluppata in senso tecnico-scientifico - i segni e i segnali di morte sono diventati particolarmente presenti e frequenti. Basti pensare alla corsa agli armamenti e al pericolo, in essa insito, di un'autodistruzione nucleare. D'altra parte, si è rivelata sempre più a tutti la grave situazione di vaste regioni del nostro pianeta, segnate dall'indigenza e dalla fame apportatrici di morte. Si tratta di problemi che non sono solo economici, ma anche e prima di tutto etici.
1967, Paolo VI, lettera enciclica Populorum progressio, n.53:
Quando tanti popoli hanno fame, quando tante famiglie soffrono la miseria, quando tanti uomini vivono immersi nell'ignoranza, quando restano da costruire tante scuole, tanti ospedali, tante abitazioni degne di questo nome, ogni sperpero pubblico o privato, ogni spesa fatta per ostentazione nazionale o personale, ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia troppo tardi.

1963, Giovanni XXIII, lettera enciclica Pacem in terris, n.59:
Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale.

1920, Benedetto XV, lettera enciclica Pacem, Dei munus:
[...] sarebbe veramente desiderabile che tutti gli Stati, rimossi i vicendevoli sospetti, si riunissero in una sola società o, meglio, quasi in una famiglia di popoli, sia per assicurare a ciascuno la propria indipendenza, sia per tutelare l’ordine del civile consorzio. E a formare questa società fra le genti è di stimolo, oltre a molte altre considerazioni, il bisogno stesso generalmente riconosciuto di ridurre, se non addirittura di abolire, le enormi spese militari che non possono più oltre essere sostenute dagli Stati, affinché in tal modo si impediscano per l’avvenire guerre così micidiali e tremende, e si assicuri a ciascun popolo, nei suoi giusti limiti, l’indipendenza e l’integrità del proprio territorio.