martedì 9 luglio 2013

Articolo originale di don Matteo Pasinato sulla base Dal Molin / Del Din, ripreso tempo fa da La Voce dei berici, prima della inaugurazione...

Pace sulla terra. Giusto 50 anni fa papa Giovanni prendeva queste parole angeliche, scese sopra la grotta di Betlemme, per farne l’inizio di un’enciclica sulla pace: «quella che gli uomini desiderano ardentemente in tutta la terra e in tutti i tempi». Enciclica che fu definita da Loris Capovilla «scandalo del XX secolo per i prudenti di questo mondo»[1].
La nuova base americana Del Din è stata costruita e se entrerà in funzione sarà il più grande concentramento militare americano in Europa. La destinazione delle operazioni sarà il continente Africano … ma non solo. Con i militari che verranno le relazioni non saranno intense. Una base militare di solito porta a caratteri cubitali lungo le recinzioni: «VIETATO». Vietato entrare, vietato incontrare, vietato sapere … Ma per una comunità cristiana non è mai vietato ospitare le persone. E non è vietato pronunciare ancora alta la parola della pace. E se questa parola entrerà in una base militare, la pace continuerà ad essere voce del Risorto che attraversa le porte chiuse, quelle del cenacolo la sera di Pasqua … e qualsiasi porta chiusa, compresa quella del cuore che non vuol sentir parlare di pace.
Come cristiani dovremmo attrezzarci ad ospitare, ma insieme a tenere vivo il disprezzo deciso di ogni arma, di ogni gioco puramente violento, di ogni economia che sopravvive sul sangue di civili e sul sangue di militari. Dovremo cercare i modi per convertire i nostri animi prima che quelli degli altri, e smettere di dividere il mondo come se tutto fosse buono da una parte e cattivo dall’altra. Tutti siamo cattivi … ed è questo il punto più rischioso. Perché allora ci verrà la tentazione di adagiarci, di non sognare più niente di nuovo. Ci piegheremo alla sconfitta più triste e più pericolosa, quella di tollerare e di difendere ogni logica, tanto nessuna è buona. Tutto va bene e tutto ha un senso.
Come cristiani abbiamo parole antiche e recenti dei pastori, che non ci devono lasciare in pace. Soprattutto le parole che ricordano gli innocenti, i bambini che calpestano le mine anti-uomo, i profughi che scappano dalla loro terra. E se ospitiamo il punto da cui partono gli attacchi dobbiamo ospitare anche gli effetti di tutto questo.
Qualche volta ci farà bene fermarci come Gesù davanti a Gerusalemme. Lui ha pianto con lacrime che si vedono e si sentono, incise perfino nel vangelo (Lc 19,41). Ha pianto perché la sua città era diventata cieca e non ha afferrato la «via della pace». Dio è sempre impotente di fronte a coloro che decidono di rifiutarlo, questa è la sua più misteriosa non-violenza, che anche noi cristiani dobbiamo in qualche modo provare sulla nostra pelle.
Inaugurare una costruzione che ha il solo scopo della morte ci aiuti a non inaugurare un silenzio di retroguardia, a non soffocare un lamento che deve vedersi e sentirsi come la lacrime di Gesù, a credere – che in tutta la terra e in tutti i tempi – la pace è ciò che di più cristiano e di più umano dobbiamo costruire. Con intelligenza, con profezia, con una lentezza che non è mai ritardo.

[1]              Aa. Vv., Pacem in terris impegno permanente. Le comunità cristiane protagoniste di segni e gesti di pace, Monti, Saronno (VA), 2004, 46.