sabato 29 ottobre 2011

Il rilancio e l'impegno nella pastorale sociale

Comunicazione di Mons. Bregantini al Convegno Nazionale ( Rimini 25-28 ottobre 2011 )
"Educare al lavoro dignitoso, 40 anni di pastorale sociale in Italia" dalla pagina


Il rilancio e l’impegno nella pastorale sociale


di S.E. Mons. Giancarlo Maria Bregantini
Presidente della Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace
e Arcivescovo di Campobasso - Boiano

Carissimi, un grazie per questa vostra preziosa presenza, in questo importante convegno, che rappresenta sempre un momento di ricarica spirituale, per la nostra rimotivazione nell’impegno della pastorale sociale. Diventa così anche verifica del nostro operato, ma anche sostegno e rilancio.
            Grazie alla relazione chiara e lucida del card. Bagnasco, che ieri ci ha lanciato, onde restituirci spinta in avanti. E grazie ad Avvenire che ha riportato con ampiezza di spazi la Relazione e una corposa riflessione sull’apprendistato, che è uno dei punti qualificanti per i giovani, nel loro ingresso al lavoro.
Ho poi gustato la vivace relazione di mons. Lanza, che ci ha dato il sapore dei nostri 40 anni di attività, con la benedizione del Signore per le cose belle compiute insieme, pronti a chiedere venia, poiché consapevoli della nostra fragilità e lentezza.
            A me, oggi, in questa mattina, il compito di fare da ponte tra le due relazioni di ieri e l’inizio dei laboratori del pomeriggio.

1. – Porto la voce della Commissione episcopale, che ringrazio e che si riunisce periodicamente, a Roma, che ha, come è ben noto, il compito di studiare, animare e sostenere il cammino della pastorale sociale.
Ci siamo dati come Vescovi un progetto per questo quinquennio, affidando al Signore gli anni che ci dona.
Per il 2010, è stato preponderante il tema del “Sociale”; da qui il cammino della Settimana sociale, che si svolta proprio come in questi giorni, a Reggio Calabria. Prezioso è il documento, che ne raccoglie le conclusioni, cui spesso mi riferisco, come pietra miliare del nostro cammino.
Per il 2011, pensiamo di dedicare il nostro impegno al tema del lavoro, verso un convegno specifico, che già oggi viene vissuto in questo nostro incontro, sul tema del lavoro dignitoso.
Negli anni successivi, pensiamo di orientare il nostro dibattito, sommariamente, verso gli argomenti della Giustizia, della Pace e della salvaguardia del Creato. Anno dopo anno, per essere poi anche da voi tutti accompagnati e così illuminare le nostre comunità parrocchiali.
Tutto affidiamo al Signore che ci guida e ci orienta.
Ma ogni anno, nel nostro impegno nelle singole diocesi, come commissione locale, abbiamo da affrontare e da vivere quattro preziosi appuntamenti: la giornata della pace il 1 Gennaio; il primo maggio nella tematica del lavoro sulla scia della figura di san Giuseppe. C’è poi la nuova iniziativa della giornata del Creato, il 1 settembre e la festa del Ringraziamento agricolo, a metà di novembre.
Sono tutti appuntamenti che si fanno momenti interessanti, per coinvolgere le nostre Chiese locali.

2. – Ci troviamo ora davanti alla grande domanda che attraversa i nostri cuori come un tempo erano presenti nel cuore della gente che guardava a Giovanni Battista: Che dobbiamo fare?(Luca 3,1-17).
E la risposta del profeta è suddivisa su tre proposte nettissime, taglienti, che entrano anche nel nostro cuore e nel nostro vissuto di chiesa italiana:
-       Raddrizzare i nostri sentieri sbagliati e tortuosi;
-       Dare una tunica a chi non ne ha, da parte di chi ne possiede due;
-       Operare la giustizia sociale.
In fondo, a noi oggi tocca attualizzare queste stesse tre proposte. Ad esempio, subito comprendiamo che anche nella nostra società e nelle nostre comunità c’è chi ha “due tuniche” (cioè due lavori!) e c’è invece chi lavoro non ne ha oppure lo ha perso in questa tristissima crisi sociale ed economica.

3. – Va poi fatta una importante premessa, di carattere metodologico, che ci riguarda.
È la verifica onesta e leale delle nostre commissioni diocesane. Troppi sono ancora le diocesi prive di un robusto delegato, efficace e fattivo. Con la sua disponibilità per un compito così grande e spazioso.
Altre diocesi poi non hanno una consulta, una vera e propria commissione, che dia la possibilità al delegato di avere a disposizione un Laboratorio di cultura, come ci richiedeva la relazione del card. Bagnasco. È infatti compito della commissione diocesana cogliere i segni dei tempi; avere un occhio di attenzione alla realtà del lavoro sul territorio; aiutare il Vescovo nei suoi interventi e nelle sue visite alle varie aziende, perché siano segno efficace di una Chiesa “Mater”, prossima alle angosce sociali; sostenere i preti; farsi voce di chi non ha voce; accompagnare i segni belli di realizzazione, che si fanno prodromi al Vangelo.
            Un altro elemento importante che sento di raccomandare, anche in base alle frequenti visite che compio nelle diocesi in Italia, è quello di lavorare insieme alle altre commissioni diocesane, che si occupano di settori vitali, intrecciate con la pastorale sociale.
Ad esempio, è bello lavorare insieme alla commissione Famiglia, anche in vista dell’incontro mondale delle famiglie, a Milano, nel prossimo mese di maggio. Oggi chi sente la crisi è infatti la famiglia. Ed allora, come non aiutare le famiglie a reggere, a capire, a trarre da questo evento difficile gli insegnamenti che Dio ci manda! Chi la aiuterà se non insieme?!?
Così è indispensabile collaborare con la Caritas: se la Caritas non si relaziona con la pastorale sociale, rischia di diventare assistenzialistica. E a sua volta, se la pastorale sociale non collabora con la Caritas, resta senza cuore!
Un altro settore cui collaborare resta sempre quello della Catechesi, anche tramite l’ottima strumento del Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Tutti noi ci siamo sentiti sostenuti nella battaglia per l’acqua pubblica, proprio dalla chiarezza delle affermazioni del Compendio!
            La gente è attenta, partecipa, chiede, si interessa. A noi tocca dare risposte chiare, globali, fatte testimonianza.
E più saremo uniti, più saremo insieme, più ci lasceremo interpellare tutti insieme dagli eventi che ci riguardano… più saremo capaci di offrire luce e speranza!
Ce lo insegna anche la ricca esperienza del modo di lavorare del Progetto Policoro.

4. – Perché le nostre commissioni possano lavorare con fecondità, è necessario aprire il cuore alla Parola del Signore, essere in attento ascolto alla sua voce, avere un cuore pronto e disponibile. Dedicare cioè il giusto tempo alla formazione spirituale, specie tramite la Lectio.
Benedette le commissioni che organizzano una serie di Lectio sulla Bibbia!
Un esempio ci è dato dalla figura di Lidia, che nel capitolo 16 del libro degli Atti è presentata come colei che sa aprire il suo cuore. Anzi, è Dio stesso che le apre il cuore. E a sua volta, sarà poi quel cuore aperto che apre la sua casa agli apostoli (Paolo, Luca e Timoteo!). Così, da quella casa e da quel cuore si estende a tutta la comunità un profumo di accoglienza, che diventa mirabile esempio di chi sa offrire una pastorale sociale che cambia il modo di vivere nelle nostre comunità. Un cuore aperto alla Parola, una casa che accoglie, una comunità solidale: questo è l’icona che ci illumina ed infiamma, citata del resto nel recentissimo Motu Proprio del papa Benedetto, Porta fidei, al numero 10.
La fede è così il fondamento per la Pastorale sociale! E la Preghiera ne è sostegno, la Lectio maturazione, la carità frutto di bene.

5. – Offro ora tre suggerimenti, per il cammino futuro della pastorale sociale in Italia: intraprendere, includere, accompagnare i giovani.
Sono tre parole che possono aiutare il nostro cammino come Chiese, per un lavoro “decente”.
Il punto di partenza resta infatti il meraviglioso Decalogo sul lavoro decente, offerto nell’Enciclica Caritas in veritate (n. 63). È il mio costante riferimento per ogni incontro di catechesi sul tema del lavoro. Il Papa infatti chiede che ogni lavoro
1.         sia svolto in dignità,
2.         sia scelto e non subito,
3.         venga compiuto in uno stile d’insieme,
4.         nel rispetto di ogni lavoratore senza discriminazione alcuna,
5.         promuova e rispetti la famiglia,
6.         permetta la scolarizzazione dei figli,
7.         dia spazio al ruolo di difesa dei sindacati,
8.         dia voce a chi non ha voce,
9.         permetta di essere un lavoro che non assorba tutto,
10.     ma dia spazio alla spiritualità, per chiudere con una pensione dignitosa.
È un decalogo che va posto come obiettivo per tutte le nostre realtà sociali e politiche, tanto è chiaro e nitido. Su questi obiettivi sono del resto modellati i dieci laboratori che verranno compiuti questo pomeriggio.

6. – INTRAPRENDERE
            Intraprendere è oggi la parola chiave. Apre il documento della Settimana sociale. Raccoglie tutta la tensione antropologica del nostro tempo. È ben più del solo investire. È tutto l’uomo, con la sua dignità e la sua progettualità, che vi è innestato.
Tutto sta in quel avverbio di tempo e di luogo che ha coinvolto anche la GMG di Madrid e che nelle catechesi ho spesso commentato alla luce della bellissima e notissima poesia dell’Infinito di Leopardi. La parola è oltre! Oltre la siepe che spesso ci spaventa, ci rinchiude dentro un atmosfera di paura. La siepe della poesia è il simbolo di ostacoli, di chiusure, di paure, di orizzonti limitati. È il simbolo della crisi. Intravedere oltre la siepe si fa così immagine di uno stile di speranza, che valorizza le tracce che Dio sa porre dentro la nostra storia. C’è infatti un vento che attraversa la siepe e ci richiama la voglia e la gioia di un Infinito che già da ora ci coinvolge e ci spinge in avanti.
Allenare all’invisibile è oggi il grande prezioso contributo che possiamo dare in un’ottica precisa di evangelizzazione, da parte della Pastorale sociale, alla nostra realtà economica. Se non si spera, non si investe. Se non si guarda lontano, non si progetta il futuro economico delle nostre aziende.
Trovo ad esempio tonificante anche sul piano economico la gioia dell’adorazione eucaristica: vedere l’invisibile nel visibile, andare oltre il pezzo di pane per scoprirvi una presenza.
Questa è l’adorazione. Questa è la sua valenza sociale e politica straordinaria, rivoluzionaria: allenare lo sguardo all’Infinito di Dio, per lanciarlo coraggiosamente avanti sul piano culturale.
Si entra così nel gioco positivo della Pastorale sociale: dare speranza anche al mondo imprenditoriale, che spesso soffre di paure e di rischio che frena il cuore. C’è sempre, infatti, nel cuore di tutti noi, oggi, un limite, una siepe che ci blocca.
La stessa complessità non ci deve spaventare, ma invogliare ad esperienze nuove, in una logica positiva che si chiama innovazione, parola magica che cambia le nostre prospettive.
In questo cammino sarà necessario anche poter incontrare gli industriali, specie all’interno delle grandi aziende, come la FIAT. Ad esempio, sarebbe bello accogliere l’invito che mi è giunto per strade precise, onde ascoltare e confrontarsi dialetticamente con Marchionne, grande ed esperto manager della FIAT. Non per esserne succubi, ma per illuminare, capire, condividere ma anche suggerire atteggiamenti in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa. Credo che ci sia una reciproca attesa e che l’incontro sarà fecondo per tutti.
Sempre più infatti ci accorgiamo, anche davanti alle reti vuote di tante odierne iniziative in svariati campi della vita sociale e religiosa, che Solo con Dio c’è futuro, come ci ha ammonito il Papa in Germania.
È anche il preciso messaggio che viene dato dalla nostra commissione episcopale per la prossima Giornata nazionale del Ringraziamento, fissata per domenica 13 novembre: Solo con Dio c’è futuro nelle nostre campagne! Ed il tema potrà essere esteso ad altri settori, come le fabbriche, gli uffici, l’economia, la politica…
Allo stesso modo, l’etica diviene parte integrante dell’economia. Non orpello, non plusvalore, non aggiunta fittizia. Ma componente essenziale del cammino economico. Perché solo con l’etica, cioè con la presenza di Dio nel nostro tessuto sociale, è possibile impostare un futuro sereno e fattivo.
Solo con Dio, infatti, è possibile credere alla logica della gratuità, che resta la grande categoria che ci è stata insegnata nella Caritas in veritate. Categoria trasversale a tutta l’economia.
Dio infatti ragiona sempre con quell’eccedenza d’amore che fonda ogni nostro gesto di carità e di economia.

7. – INCLUDERE.
È il cuore che apre la casa. Un cuore che si è aperto a Dio e che ha fatto spazio alla sua presenza tramite la preghiera, la liturgia e l’ascolto della Parola biblica, quel cuore apre ora le nostre case. Una parta aperta che si fa inclusione, per diventare poi successivamente anche integrazione degli immigrati e delle loro famiglie.
Ricuperiamo così la grande valenza sociale della Giornata del Creato, che si celebra il 1° settembre. Il tema di quest’anno era chiarissimo: In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza.
Ed eccoci a collaborare non solo con la commissione dell’Ecumenismo, ma anche con la commissione Migrantes.
L’ospitalità si fa così dimensione efficace di uno stile della Pastorale del lavoro, elencata efficacemente dalla Settimana sociale del 2010, che ci ha dato quattro indicazioni meravigliose, purtroppo poco valorizzate nel nostro mondo ecclesiale:
-       Riconoscere la cittadinanza ai figli degli immigrati che sono nati in Italia
-       Far votare alle elezioni amministrative comunali anche gli immigrati regolari
-       Stima e sostegno alle crescenti imprese nate dal coraggio degli immigrati
-       Imparare le loro lingue. Loro, l’Italiano… noi, l’Arabo!
L’includere si fa così palestra per accogliere e valorizzare ogni fragilità. Ad esempio, è in questa logica che va potenziato il documento sul Sud (febbraio 2010), basato proprio sull’inclusione e sulla valorizzazione, perché il Sud sia Laboratorio di speranza e di reciprocità.
Lo stesso dicasi per l’imprenditoria femminile, che diventa speranza concreta per tutti, con forme di grande futuro e concreta imprenditorialità.

8. – ACCOMPAGNARE I GIOVANI.
Va posto questo cammino nel solco dell’educare, che diviene l’arte del decennio, sorretti dagli orientamenti pastorali.
La disoccupazione giovanile è infatti il dramma più grande, la grande emergenza antropologica, la vera sfida che avvolge il nostro paese, dal sud al nord.

È il precariato, frutto amaro della precarietà, che a sua volta è frutto del crescete dannoso relativismo culturale. Ed etico.
Va perciò affrontata globalmente, nei suoi diversi aspetti: biblico, culturale, spirituale, sociale, politico, etico, organizzativo, sindacale, familiare.
C’è infatti da interrogarsi seriamente sulle cause vere di questa precarietà.
Ad esempio, nel dibattito schietto con Marco Biagi, sul tema della flessibilità, già si era sollevato questo timore: che con facilità la flessibilità si potesse trasformare in precarietà.
Questa è la nostra sfida culturale odierna.
E su questo punto, anche le nostre istituzioni cattoliche devono e possono dare un esempio di speranza, riducendo sempre più il numeri dei lavoratori precari che assumono. È un gesto di coraggio sociale, di testimonianza innovativa. La gente richiede infatti anche da noi uno stile nuovo, una testimonianza che ci veda nonallineati al modo di fare e di pensare delle aziende. Ma quanta fatica e quanti ritardi, anche nel nostro mondo!

Come accompagnare i giovani?
Penso che sia utile valorizzare le cinque strade offerte nelle catechesi sul libro di RUT, che tanto ci ha aiutato, soprattutto nell’accompagnamento al Progetto Policoro.
            Si parte sempre dalla storia triste di Noemi, che si vede distrutto la sua famiglia. Perde infatti nel giro di breve tempo, per eventi misteriosi, prima il marito Elimelech e poi i due figli maschi, che nel frattempo, nella zona di Moab, si erano ben sistemati sposando due ragazze del posto. Pagane, ma cortesi e attente.
Ma ecco che la prova si abbatte su Noemi, al punto che lei chiede di essere chiamata non più Noemi (che vuol dire dolcezza mia!) ma Mara, cioè amarezza!
Quel nome di Mara rappresenta benissimo tutta l’amarezza di tanti ragazzi che non trovano lavoro, che sono parcheggiati, che hanno contratti a breve scadenza, che non riescono più a progettare una famiglia loro. Costretti amaramente a vivere di espedienti o a stare sulle spalle della famiglia!
Ma potrà Mara tornare ad essere Noemi?
Questa è la sfida che ci spetta come Chiesa locale, come società odierna davanti a tante lacrime di giovani, che ben conosciamo. L’itinerario è segnato da 5 punti.

  1. La prossimità di Rut, nuora vicina alla suocera, che non la lascia, che la ama gratuitamente. La sua fedeltà va contrapposta alla fuga di Orpa, che vuol dire l’opposto. Infatti mentre Rut vuol dire amica fedele, Orpa significa Colei che mostra le spalle! Ci chiediamo come Chiesa italiana se noi siamo, in questa crisi, come Orpa o come Rut?
  2. Decidono così di ritornare a Betlemme, da cui Noemi era partita con la sua famiglia, piena allora di speranza. È un ritorno molto triste con infinite delusioni. Ma trovano una grossa opportunità. Si sta infatti mietendo l’orzo, che diviene il simbolo di tutte le realtà ben tipicizzate di un territorio. È poi simbolo delle qualità personali, dei talenti, della formazione di ogni ragazzo. È la speranza fatta segno!
  3. Subito Rut coglie l’opportunità e dice con franchezza e coraggio: Io vado a spigolare. Spigolare è il simbolo di ogni precarietà giovanile e sociale che ci attraversa. È la più povera delle strade. Perché tutto dipende dal capriccio di chi ti sta avanti. Sei nulla. Eppure, Rut è descritta come una lavoratrice solerte, delicata, zelante, positiva. non si scoraggia, non si lamenta. ma anzi, mette nel suo lavoro precario tutta una sua “regalità” di stile, che la rende meravigliosa, ammirata da tutti gli altri mietitori. È il lavoratore che dà dignità al lavoro e non il lavoro che lo rende degno.
  4. Interviene in questa scena la figura di Booz, che è il proprietario del campo. Osserva con occhi puliti quella ragazza, bella e brava. E ne innamora. Perdutamente. Consigliata dalla suocera, Rut avanza la sua proposta matrimoniale, con purezza ma anche con decisione. In un intreccio di segni meravigliosi, che rendono il romanzo carico di suspense. Booz è il Goèl, cioè colui che prende su di sé le fatiche e le lacrime dell’altro, per farle proprie. È la banca, è la cooperativa madre, è la reciprocità tra nord e sud, è la difesa dalla mafia, è la tutela sindacale, è la protezione dalla paura, è il consiglio giusto al momento giusto, è l’intercessione delle monache di clausura…
  5. Ed ecco, in questa bellissima storia d’amore la gioia di un bimbo, Obed, nato da Rut ma cullato da Noemi. Ora realmente, Mara diventa di nuovo Noemi! Tutte le donne di Betlemme hanno notato la trasformazione, la nuova dignità, la paura cacciata.
    A noi, raccogliere questa storia antica e farne un itinerario di speranza. Anche tramite un apposito convegno chela Chiesa italiana potrà celebrare il prossimo anno. Magari anche in preparazione alla Settimana sociale del 2013. Sarebbe bellissimo!
Grazie.