Venti di pace
di mons. Giancarlo Maria Bregantini
Credo che non sia sfuggita a nessuno la triste coincidenza tra due date, con una cadenza terribile: fu, infatti, il 19 marzo del 2003 che iniziò la guerra contro l’Iraq. E proprio il 19 marzo del 2011 è incominciata la guerra contro la Libia. Otto anni di inutili stragi, che non ci hanno insegnato nulla. Davanti alla guerra in Iraq si levò subito il monito durissimo di papa Giovanni Paolo II, che ben conosceva il dramma di conflitti, apparentemente facili all’inizio, ma tragici nel loro imprevedibile svolgersi. La guerra, infatti, resta sempre un’avventura senza ritorno.
E quando nel 2003, come cattolici, anche su importanti riviste come Famiglia Cristiana, prendemmo netta posizione contro quella guerra, quante pesanti lettere minacciose ricevemmo!
Anche da parte di preti e di cattolici, che ci definivano superficiali, incapaci di capire la realtà, nemici degli americani. A otto anni di distanza, sarebbe bello rileggere quelle lettere, per cogliere chi aveva ragione, chi era realmente nemico degli americani. La guerra in Iraq non ha avuto né vinti né vincitori. Tutta l’umanità ha fatto un passo indietro. E l’Italia non ha saputo ripudiare la guerra come mezzo di soluzione dei conflitti internazionali, come chiesto dalla nostra bella Costituzione!
Anzi, la guerra si è estesa all’Afganistan, con tanti morti anche tra i nostri ragazzi, mandati a “difendere la pace”. Ogni volta seppelliti tra commoventi liturgie, che però non ci hanno insegnato nulla. Ma è vera pace quella che si deve difendere con le armi?
Non c’è altra via per aiutare il popolo afghano? Non potremmo essere presenti tra quella gente tanto provata, con il volontariato, la scuola, i musei, l’arte, i pozzi d’acqua, l’agricoltura, la musica? Non sono da sempre queste le strade che hanno reso vera la presenza italiana all’estero, additando nei nostri ragazzi quei caschi bianchi di pace, che promuovono il vero sviluppo dei poveri, come ci ha insegnato Paolo VI, nella sua regale Populorum Progressio?
Ma ecco che, otto anni dopo, l’Europa cade ancora in una guerra assurda, proclamata in fretta, dopo che le diplomazie internazionali sono rimaste comodamente a guardare, anziché attivare da subito i canali di feconde trattative di mediazione. E l’Italia ne aveva tutte le possibilità! E così, di colpo, ci siamo trovati in guerra. Senza che nessuno l’avesse dichiarata, senza nemmeno dirlo esplicitamente!
Ed anche questa volta, chiara si è levata, accanto a quella di cristiani, di preti e di vescovi, la voce di Benedetto XVI che ha chiesto di fermare gli aerei e i missili, per tornare a trattare, sedendosi fiduciosi attorno ad un tavolo, per guardarsi negli occhi, certi che solo con il bene si vince il male.
La tristezza maggiore, in quei primi giorni, è stata però quella di vedere dettagliati servizi televisivi che esaltavano le missioni aeree con l’arroganza dei vittoriosi. Come se la superiorità tecnica bastasse a vincere le resistenze personali di Gheddafi.
Oggi ci si è accorti che l’hanno inviperito maggiormente, rendendolo una vittima delle potenze occidentali, presentate come i nuovi crociati. E così ancora una volta siamo entrati nella logica delle contrapposizioni storiche: i poveri da una parte ed i ricchi dall’altra. E con i ricchi, ecco che ci siamo trovati anche noi, i cristiani!
Che tristezza! Dove sono le Beatitudini? Che diremo ai nostri ragazzi, quando litigano? Quale educatore non si sentirebbe rispondere: «Prima dateci voi adulti l’esempio!». Con la guerra abbiamo perso la grande battaglia educativa, come Chiesa e come società! Si è infatti dimostrato che i pugni e i calci possono aver ragione, negli stadi, nelle strade, in classe! Perché quando sparano le armi, anche i calci sono di fatto legittimati!
Non ci resta che un serio esame di coscienza! Un “no” secco alla guerra ed un forte impegno educativo con i nostri ragazzi. Fatto di perdono, di stima reciproca, di speranze condivise! E che Dio abbia pietà di noi, che ignoriamo Lazzaro alla nostra porta!
* Arcivescovo di Campobasso-Boiano, presidente della Commissione Cei per i Problemi sociali e il Lavoro
E quando nel 2003, come cattolici, anche su importanti riviste come Famiglia Cristiana, prendemmo netta posizione contro quella guerra, quante pesanti lettere minacciose ricevemmo!
Anche da parte di preti e di cattolici, che ci definivano superficiali, incapaci di capire la realtà, nemici degli americani. A otto anni di distanza, sarebbe bello rileggere quelle lettere, per cogliere chi aveva ragione, chi era realmente nemico degli americani. La guerra in Iraq non ha avuto né vinti né vincitori. Tutta l’umanità ha fatto un passo indietro. E l’Italia non ha saputo ripudiare la guerra come mezzo di soluzione dei conflitti internazionali, come chiesto dalla nostra bella Costituzione!
Anzi, la guerra si è estesa all’Afganistan, con tanti morti anche tra i nostri ragazzi, mandati a “difendere la pace”. Ogni volta seppelliti tra commoventi liturgie, che però non ci hanno insegnato nulla. Ma è vera pace quella che si deve difendere con le armi?
Non c’è altra via per aiutare il popolo afghano? Non potremmo essere presenti tra quella gente tanto provata, con il volontariato, la scuola, i musei, l’arte, i pozzi d’acqua, l’agricoltura, la musica? Non sono da sempre queste le strade che hanno reso vera la presenza italiana all’estero, additando nei nostri ragazzi quei caschi bianchi di pace, che promuovono il vero sviluppo dei poveri, come ci ha insegnato Paolo VI, nella sua regale Populorum Progressio?
Ma ecco che, otto anni dopo, l’Europa cade ancora in una guerra assurda, proclamata in fretta, dopo che le diplomazie internazionali sono rimaste comodamente a guardare, anziché attivare da subito i canali di feconde trattative di mediazione. E l’Italia ne aveva tutte le possibilità! E così, di colpo, ci siamo trovati in guerra. Senza che nessuno l’avesse dichiarata, senza nemmeno dirlo esplicitamente!
Ed anche questa volta, chiara si è levata, accanto a quella di cristiani, di preti e di vescovi, la voce di Benedetto XVI che ha chiesto di fermare gli aerei e i missili, per tornare a trattare, sedendosi fiduciosi attorno ad un tavolo, per guardarsi negli occhi, certi che solo con il bene si vince il male.
La tristezza maggiore, in quei primi giorni, è stata però quella di vedere dettagliati servizi televisivi che esaltavano le missioni aeree con l’arroganza dei vittoriosi. Come se la superiorità tecnica bastasse a vincere le resistenze personali di Gheddafi.
Oggi ci si è accorti che l’hanno inviperito maggiormente, rendendolo una vittima delle potenze occidentali, presentate come i nuovi crociati. E così ancora una volta siamo entrati nella logica delle contrapposizioni storiche: i poveri da una parte ed i ricchi dall’altra. E con i ricchi, ecco che ci siamo trovati anche noi, i cristiani!
Che tristezza! Dove sono le Beatitudini? Che diremo ai nostri ragazzi, quando litigano? Quale educatore non si sentirebbe rispondere: «Prima dateci voi adulti l’esempio!». Con la guerra abbiamo perso la grande battaglia educativa, come Chiesa e come società! Si è infatti dimostrato che i pugni e i calci possono aver ragione, negli stadi, nelle strade, in classe! Perché quando sparano le armi, anche i calci sono di fatto legittimati!
Non ci resta che un serio esame di coscienza! Un “no” secco alla guerra ed un forte impegno educativo con i nostri ragazzi. Fatto di perdono, di stima reciproca, di speranze condivise! E che Dio abbia pietà di noi, che ignoriamo Lazzaro alla nostra porta!
* Arcivescovo di Campobasso-Boiano, presidente della Commissione Cei per i Problemi sociali e il Lavoro