sabato 8 aprile 2023

Pasqua di resurrezione: non solo per i cristiani

dalla pagina https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/04/07/pasqua-di-resurrezione-non-solo-per-i-cristiani/

 

Per i cristiani il tempo della storia si innerva nel rapporto con la Scrittura, presente nell’anno liturgico giorno per giorno, domenica dopo domenica. In seguito alla rivoluzione operata in tal senso dal Concilio Vaticano II, si è tornati, dopo lunghi anni in cui la Bibbia era tenuta lontano dal Popolo di Dio, a pensarla come fondamento della fede, tenendo sicuramente conto della provocazione luterana, ma anche dei Padri della Chiesa, che in San Girolamo affermano: «L’ignoranza della Scrittura è ignoranza della fede». Il Vangelo e gli altri testi ci accompagnano quindi tempo per tempo, stagione dopo stagione. Vi posso dire che una mia grande sorpresa, che si rinnova quasi sempre, è cogliere il rapporto tra queste letture e il tempo preciso che stiamo vivendo, a volte con una linearità di corrispondenza impressionante. In questo 2023 è il Vangelo di Matteo ad accompagnarci. È su questo testo che rifletto con la mia comunità. Leggendo la Passione qui narrata, faccio qualche considerazione sparsa.

Il Gesù dei vangeli non è l’espressione di una umanità stoica, atarassica, indifferente al dolore per i giochi del destino, da considerare al di qua del divino: di fronte alla prospettiva della violenza e della morte che dovrà subire, Gesù prova angoscia, cerca la vicinanza dei suoi amici, prega perché le cose vadano diversamente. La coerenza alla sua predicazione, la determinazione a non cedere alle autorità farisaiche, soprattutto l’amore per i suoi e il Dio che gli è Padre e Madre, lo condurranno a non fuggire, a trovare il coraggio per essere di fronte all’abisso della morte senza che esso annienti tre anni di incontri, di prossimità terapeutica, di parole significative rivolte a chi soffre, a chi è stato accantonato negli angoli della socialità, a chi veniva bollato con i termini della maledizione divina. È la fedeltà ai poveri, il senso della solidarietà radicale con chi soffre l’insulto sistematico del potere a motivare il Cristo oltre i limiti del buonsenso, che prescrive sempre la tutela di sé. Ma tutto questo ha un costo, ed è la sofferenza di non poter essere sicuri che ciò abbia senso. Gesù che muore gridando: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Il nostro Dio fragile per amore, ci insegna che così si persegue una forza autentica, che sorregge e struttura senza bisogno di ferire nessuno, senza far pagare il prezzo delle proprie superiorità. Il Dio che trascende a partire dall’umano, non contro di esso. Il Dio travolto dai poteri umani per aver osato contestarne i presupposti: la divinizzazione di chi esercita dominio e controllo. Il Dio dei cristiani non è quello delle gerarchie e dei padronati: se gli uomini di chiesa li hanno benedetti, hanno bestemmiato il Suo nome. Un Cristo/Messia totalmente spiazzante, che rinuncia ad ogni tutela di sé, senza in niente acconsentire all’immaginario collettivo che lo avrebbe voluto uomo forte e di autorità storica, capace di riportare Israele a essere un Regno degno di questo nome. Invece è un uomo inerme che scompare nei gorghi oscuri in cui i fondamentalismi e i regimi oppressivi fanno scomparire le dissidenze. Un uomo torturato, privato di dignità, che si pensa di poter piegare nell’insulto e nel dolore.

Ormai da molti anni mi occupo di diritti umani, di pace, di tutela delle minoranze. Ho letto molti rapporti sulle violazioni dei diritti umani fondamentali, a partire da quelli che hanno portato alla sbarra i peggiori regimi latinoamericani (a proposito, vi consiglio di non perdervi Argentina 1985, di Santiago Mitre, sul processo a Videla e gli altri generali delle giunte militari, con le mani lorde di sangue innocente: non l’ha scampata, è morto in galera, all’ergastolo). Vi ritrovo quanto si legge nella Passione dei vangeli, con le storie di uomini e donne che non hanno guardato soltanto alla propria vita, ma a quella di tutti. Una parte di loro era motivata dall’esempio del Cristo: moltissimi altri no, facevano riferimento a diversi modi di motivarsi al sacrificio. Nell’impossibilità di pensare il proprio sacrificio con un valore diverso da quello dei suoi compagni di carcere comunisti, il teologo e pastore protestante Dietrich Bonhoeffer arriverà a capire chiaramente cosa significa cercare insieme a chi la pensa diversamente un senso alle cose “come se Dio non fosse dato”: non per negarlo, anzi. Per capirne il volto attraverso quelli che dichiarano di non averne bisogno, ma la vita la danno generosamente come i credenti sovente non sanno fare. Per una teoria condivisa di giustizia e di speranza.

Nella storia vediamo una sequenza impressionante di sadismo, che non si interrompe mai, anche perché radicalmente funzionale a un concetto di politica a cui molti non sanno rinunciare. Si veda la proposta di una parte dell’attuale maggioranza di governo di abrogare la legislazione sulla tortura, faticosamente approvata non molto tempo fa. Le logiche che portano a parlare – in modo assolutamente indegno – di “carico residuale”, riferito a degli esseri umani evidentemente non considerati tali visto che è un termine che si applica alle merci, dimostrano una volta di più che c’è chi pretende di governare la realtà con il disprezzo, la violenza istituzionalizzata, le vetuste (e quanto mai nefaste) categorie delle superiorità etniche.

Gesù è un uomo che sembra imprigionato in un sogno impossibile quando dice ai suoi: «Rimetti la spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno». Nel tempo di guerre che continuano a sedurre le convinzioni, sedando le coscienze, una parola determinata su cosa davvero sono le armi: strumenti di morte senza nessun autentico umanesimo che possa sostenerne il valore. Aver dichiarato inutili i sogni è uno dei crimini più violenti di questa stagione storica. Ci ha resi impotenti di fronte alla realtà, senza più speranza di contrastarne le logiche alla luce dell’utopia. Un Dio di vita contro il dio del potere, dell’asservimento mediatico, dell’economicizzazione di tutto ciò che è umano. Gesù Cristo “non è qui”, non è in queste logiche di svalutazione delle persone: “è risorto”, è oltre e altrove, perché tutti gli esseri umani imparino a considerare questa speranza di ulteriore. Da tempo rifletto sulla possibile laicizzazione del concetto di resurrezione: valutando quella dalla morte altrui, dall’ingiustizia, dalle dipendenze cattive, dalle malattie. Il potere della morte e il potere che si serve della morte, contro cui siamo chiamati a dire azione e parola nel senso contrario, quello del vivere. Antonio Tabucchi che fa iniziare l’arringa processuale di un processo contro lo Stato omicida di Salazar, ne La testa perduta di Damasceno Monteiro, con «Comincerò con una domanda che rivolgo prima di tutto a me stesso. Cosa significa essere contro la morte?», mi consegna una domanda fondamentale, da cui non mi sono mai liberato. Nella passione contro la morte si trova uno spiraglio che dice luce contro il cinismo cattivo dei tutelati e dei privilegiati. Ancora Tabucchi in Sostiene Pereira contro i fascisti salazariani: «Viva la morte? Viva la vita, piuttosto». Rispetto profondamente chi non crede o crede diversamente, ma penso che la trascendenza è un contesto umano prima che confessionale. Vi si può del tutto rinunciare?

Nelle letture di molti anni fa, un libro del teologo brasiliano Leonardo Boff, Passione di Cristo, passione del mondo. Vi si ricorda un dato importante della cristologia: la passione di Cristo continua nei secoli, in ogni singola esistenza umana che sperimenti il male di vivere. Se il significato della resurrezione è che Gesù rimane vicino a chiunque, per qualsiasi motivo, lo voglia accanto a sé, questa prospettiva si può pensare anche nei confronti della sofferenza. Il Dio cristiano libera dal patire prendendolo con sé e portandoselo addosso, assumendone le conseguenze. E aprendo la porta alla fine del dolore. Lo dico a partire da un profondo rispetto per tutte le confessioni di fede, le mistiche, i percorsi di spiritualità e ancor più per chi non ne professa nessuna: fuori dal cristianesimo sarei sicuramente ateo. Un Dio che non soffre con gli umani, incarnandosi nella loro condizione quotidiana e usuale, non mi interessa, non è in grado di rispondere a domande che si accumulano nei secoli sulla sua passività nei confronti del male. Alle mie, sicuramente no. Nessuna istanza sulla superiorità del cristianesimo su altre dinamiche di ricerca dei significati: è così per me. Non posso dire diversamente. Certo, contro i fondamentalismi, che schiacciano donne e uomini in nome di dio: ma quale dio?

Solo un Dio radicalmente dedito all’umano, fino a voler vedere la Creazione con gli occhi della creatura, abitarla con sudore, lacrime, sorrisi, lutti e feste, può essere di fronte al grande cordoglio necessario per le sofferenze inflitte e subite dagli umani stessi con l’unico argomento che vale davvero: è stato con noi, lo sarà sempre. Resusciteremo con lui.