dalle pagine
- https://www.pordenonelegge.it/festival/edizione-2020/eventi/2517-A-che-ora-e-la-fine-del-mondo?-Scivolando-verso-il-futuro
- https://ilmanifesto.it/la-pandemia-e-il-malessere-del-pianeta/
Ghiacciai che si sciolgono, tempeste improvvise, cambiamenti climatici. Bisogna immaginare dal basso il futuro che vogliamo
- autori di «A che ora è la fine del mondo? Scivolando verso il futuro», ebook a cura di Edizioni Ambiente
La biodiversità diminuisce progressivamente, l’ambiente naturale è sempre più inquinato, il clima sta inesorabilmente cambiando: i riscontri scientifici sono evidenti, così come le cause, prevalentemente di origine antropogenica. Se gli effetti della riduzione della biodiversità o dell’inquinamento da metalli pesanti, microplastiche o molecole di sintesi chimica sono più subdoli e meno lampanti, le conseguenze dell’innalzamento della temperatura le possiamo già letteralmente percepire e la montagna è diventata il primo testimone del riscaldamento globale.
I ghiacciai sono fortemente influenzati dal cambiamento climatico: uno studio pubblicato a giugno di quest’anno riporta i cambiamenti dei ghiacciai su tutte le Alpi europee tra il 2000 e il 2014, evidenziando che si sono rapidamente ritirati, con riduzioni della superficie di quasi quaranta km2 all’anno e riduzioni annuali dello spessore del ghiaccio che vanno da 50 cm a quasi 1 metro. Quando si calcola la perdita di massa di ghiaccio dell’intera area delle Alpi emergono numeri impressionanti.
Si stima che dal 2000 al 2014 si siano persi dai 200 milioni agli 1,3 miliardi di tonnellate di ghiaccio. I danni causati alle foreste dalle tempeste di vento si sono intensificati negli ultimi decenni a livello globale e si prevede che aumenteranno ulteriormente, sempre a causa degli effetti del cambiamento climatico.
Uno studio finlandese basato sui rapporti dell’Istituto forestale europeo sulle perdite forestali causate direttamente dalle tempeste di vento indica che è avvenuto un cambiamento statisticamente significativo nell’intensità delle tempeste nell’Europa occidentale, centrale e settentrionale. Il 1990 rappresenta il punto di cambiamento ed è l’anno da cui l’intensità media delle tempeste più distruttive è aumentata di oltre un fattore tre. Tutte, tranne una, delle sette tempeste più catastrofiche si sono infatti verificate a partire dal 1990. Anche le piante testimoniano l’effetto di inverni e primavere più calde, con un anticipo persino di alcune settimane del germogliamento e della fioritura che le espone, soprattutto in ambito agricolo, al rischio di pesanti danni da gelo.
Gli studi e i documenti che certificano il malessere del nostro Pianeta si accumulano, causando una sorta di assuefazione: tanto che ormai gli allarmi lanciati dai ricercatori passano quasi del tutto inosservati. Allo stesso modo, anche noi non stiamo bene, ci siamo allontanati dalle condizioni di vita in cui l’essere umano si è evoluto, la velocità e la competitività del sistema, basata quasi esclusivamente sul consumo di merci e sulla riduzione dei costi di produzione, invade pervasivamente la nostra quotidianità. E ne abbassa il livello, con una spirale senza fine che determina squilibri e divari sempre maggiori: di reddito, di educazione, di alimentazione. Ce lo diciamo (e lo scriviamo) da anni, ma nessuno fa qualcosa concretamente. Sappiamo bene che il nostro modello di vita non è sostenibile, ma non riusciamo ad agire per cambiarlo. Ci giustifichiamo, sostenendo che l’azione del singolo non possa nulla contro un sistema che fagocita gli individui nella sua spirale perversa. La progressione pandemica della stessa Covid-19 è il risultato dell’ampiezza e velocità degli scambi e dei movimenti globali, anche se non rappresenta l’unico segnale dei disequilibri generati dalla globalizzazione. Da anni infatti assistiamo alle invasioni nei nostri ambienti di specie vegetali e animali aliene che soppiantano le specie autoctone, Tuttavia, mentre l’arrivo di una specie vegetale invasiva passa inosservata ai più, la pandemia ci ha toccati direttamente e, in poche settimane, ha messo in crisi un sistema economico globale che si è rivelato estremamente fragile.
Il lockdown è stato però, a suo modo, un grande esercizio di consapevolezza. Chiusi in casa abbiamo capito che tanti viaggi erano inutili, che si poteva mangiare meglio rispetto a consumare un pasto precotto al bar e che i vestiti comodi sono più piacevoli di quelli eleganti. Abbiamo capito che intorno a noi ci sono luoghi molto belli e che per rilassarci non è necessario infliggerci cinque ore di aereo per trascorrere il week-end in un posto esotico dall’altra parte del mondo. Abbiamo capito che la velocità ci ha tolto la profondità: di visione, di pensiero, di vita. Mentre qualcuno o qualcosa di esterno decideva che cosa era buono per noi: i maghi del marketing che scavavano nei nostri bisogni inconsci e offrivano soluzioni a necessità di cui non ci eravamo neanche resi conto. Questa era la normalità.
Così è stato normale istituire le task force di esperti a livello nazionale, regionale, provinciale, comunale e financo di quartiere, per risolvere i problemi e tornare, appunto, alla normalità. Di nuovo, ancora esperti che ci dicono cosa fare e dove andare, calandoci dall’alto soluzioni e azioni che poi, spesso, non funzionano e si contraddicono l’un l’altra, generando solo entropia. Insomma c’è sempre qualcuno esterno a noi che ci dà la soluzione e ci guida verso il futuro. Però saremo noi a viverlo, dunque perché nessuno ci chiede il nostro parere?
Ora la pandemia, paradossalmente, ci ha dato una grande opportunità, perché è come se ci trovassimo davanti a un bivio: da una parte tornare alla rassicurante normalità di prima, dall’altra cogliere l’occasione per cambiare il nostro stile di vita, riducendone impatto sull’ambiente naturale. Cosa e come produciamo, cosa mangiamo, come lavoriamo, dove abitiamo, come ci muoviamo, come ci vestiamo e così via, sono azioni singole che, prese nella globalità, possono determinare dei cambiamenti sostanziali.
Ecco dunque una strada nuova: immaginare il futuro che vogliamo per poi dirigersi verso quella direzione, ma anche essere consapevoli delle nostre azioni e dei loro effetti. Così non solo si ribalta il punto di vista, ma si parte anche dal basso: non sono più (solo) gli esperti che trovano la soluzione, siamo noi che immaginiamo il nostro futuro.
È questo l’obiettivo del progetto «… e poi? Visioni di futuro» lanciato in anteprima a Trento Festival a fine agosto. Nella prossima tappa a Pordenonelegge (20 settembre 2020, ore 19) verrà presentato l’ebook A che ora è la fine del mondo. Scivolando verso il futuro che, a partire da questa data, si potrà scaricare gratuitamente dal sito di Edizioni Ambiente. È un racconto scientifico-letterario ambientato in montagna e dal finale aperto, che è alla base dell’esercizio collettivo di visione (crowd foresight). Ogni lettore, singolarmente o in gruppo, potrà scrivere come va a finire la storia, portando così la sua visione di futuro (crowd writing).
Partecipare sarà un’occasione per fermarci e pensare: chi siamo, dove andiamo, che cosa vogliamo, lo vogliamo veramente.