Siria: le “fake news” sulle armi chimiche per creare il
casus belli?
10 aprile 2018
in Editoriale
Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel
conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di
distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli
occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003.
Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di
fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani
attribuito al regime di Damasco nell’area di Douma, ultima roccaforte delle
milizie jihadiste filo saudite di Jaysh al-Islam nei sobborghi di Damasco.
Innanzitutto perchè già in passato attacchi simili sono
stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete mentre
notizie e immagini diffuse oggi dai “media center” di Douma come ieri da quelli
di Idlib, Aleppo e altre località in mano ai ribelli sono evidentemente
propagandistiche e palesemente costruite.
Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in
Libia del 2011 e poi in Siria: fonti “umanitarie” strettamente legate alle
milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili
per l’assenza di osservatori neutrali.
Notizie e immagini di attacchi chimici vengono subito
diffuse dalle tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, cioè agli sponsor
dei ribelli, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.
Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui
tutti i media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti
umani che ha sede a Londra, vanta una vasta rete di contatti in tutto il paese
di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità, è schierato con i ribelli
cosiddetti “moderati” ed è sospettato di godere del supporto dei servizi
segreti anglo-americani.
Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei
sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno per
dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità.
Meglio ricordare le immagini diffuse l’anno scorso dei
ribelli di Idlib (qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra) che mostravano improbabili
soccorritori con abiti estivi e privi di protezioni occuparsi di supposte
vittime del gas nervino di Assad. Se così fosse stato gli stessi soccorritori
sarebbero morti in pochissimi minuti poiché quell’agente chimico viene
assorbito anche attraverso la pelle.
A suggerire prudenza prima di attribuire agli uomini di
Assad l’attacco chimico a Douma contribuiscono inoltre altre valutazioni. Jaysh
al-Islam è una milizia salafita nota per aver impiegato i civili come scudi
umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i curdi dell’aprile
2016.
Il cloro non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere
letale in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e
già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico.
I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso
aggressivo chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri
casi incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli stessi
ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere civili e
attribuirne la colpa a Damasco puntando così a incoraggiare una reazione
internazionale contro il regime di Assad.
Del resto fu il presidente Barack Obama, nel 2013, a
indicare nell’uso di armi chimiche da parte delle forze di Assad, quel “filo
rosso” che avrebbe scatenato un intervento americano e non a caso ieri Trump ha
accusato il suo predecessore di non aver chiuso i conti allora con Assad,
definito “un animale”.
Il presidente siriano è certo uomo senza scrupoli ma non ha
alcun interesse a usare armi chimiche che sono, giova ricordarlo, armi di
distruzione di massa idonee a eliminare migliaia di persone in pochi minuti non
a ucciderne qualche decina: per stragi così “limitate” bastano proiettili
d’artiglieria e bombe d’aereo convenzionali.
Assad sta ripulendo le ultime sacche di resistenza in mano
ai ribelli jihadisti e sta evacuando i civili dalle zone di combattimento:
perché dovrebbe scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per
cacciare i ribelli anche da Douma? Perché dovrebbe colpire quei civili che i
suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto con i
miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento forse in un’area
vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?
Il fatto che ieri Israele abbia invocato un attacco militare
statunitense contro Damasco (conducendo
poi un raid aereo contro la base T-4, vicina a Palmyra, con missili
lanciati dallo spazio aereo libanese) e Trump abbia accusato anche Russia e
Iran in nome di un attacco chimico che nessuna fonte neutrale ha potuto finora
verificare, induce a ritenere che ci troviamo di fronte all’ennesima operazione
propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche.
Washington infatti non ha escluso azioni militari contro
Damasco caldeggiate anche da Parigi (che potrebbe partecipare a eventuali raid
punitivi) mentre la Russia ha messo in guardia gli Usa contro un “intervento
militare per pretesti inventati” in Siria, che potrebbe “portare a conseguenze
più pesanti”.
La cautela dovrebbe quindi essere d’obbligo, specie dopo la
figuraccia rimediata dal ministro degli Esteri britannico Boris Johnson che
sulla responsabilità russa nel “caso Skripal” è stato smentito dal direttore
dei laboratori militari di Sua Maestà.
Tra l’altro la denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra
cadere a proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria
settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del
proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di
petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani.
Il ritiro dei 2mila americani rischia però di lasciare carta
bianca alle truppe turche nel nord del Paese e a quelle di Damasco nell’est,
per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si oppone alla
decisione annunciata da Trump.
Forse il presidente potrebbe essere costretto a cambiare
idea di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica e della comunità
internazionale per i bambini uccisi dal cloro di Assad, “l’animale” alleato di
russi e iraniani per il quale Trump minaccia una punizione esemplare.
Foto: AP, Die Welt, Douma Media Center e SANA