Messaggio per la 7ª Giornata per la salvaguardia del creato
1. La Giornata per la
salvaguardia del creato: lode e riconciliazione
Celebrare la Giornata per la salvaguardia del creato significa,
in primo luogo, rendere grazie al Creatore, al Dio Trino che dona ai suoi figli
di vivere su una terra feconda e meravigliosa.
La nostra celebrazione non può, però,
dimenticare le ferite di cui soffre la nostra terra, che possono essere guarite
solo da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali. Guarire è voce del verbo
amare, e chi desidera guarire sente che quel gesto ha in sé una valenza che lo vorrebbe
perenne, come perenne e fedele è l’Amore che sgorga dal cuore di Dio e si manifesta
nella bellezza nel creato, a noi affidato come dono e responsabilità. Con esso,
proprio perché gratuitamente donato, è necessario anche riconciliarsi quando ci
accorgiamo di averlo violato.
La
riconciliazione parte da un cuore che
riconosce innanzi tutto le proprie ferite e vuole sanarle, con la grazia del
Signore, nella conversione e nel gesto gratuito della confessione sacramentale.
Quindi si fa anche riconciliazione con il creato, perché il mondo in cui
viviamo porta segni strazianti di peccato e di male causati anche dalle nostre
mani, chiamate ora a ricostituire mediante gesti efficaci un’alleanza troppe
volte infranta.
Questo è lo
scopo del messaggio che vi inviamo, carissimi fratelli e sorelle, come Vescovi
incaricati di promuovere la pastorale nei contesti sociali e il cammino ecumenico,
in un fecondo intreccio che ci vede vicini e ci impegna tutti. Nella condivisione
della lode e della responsabilità per la custodia del creato, il mese di
settembre sta diventando per tutte le Confessioni cristiane una rinnovata
occasione di grazia e di purificazione. Anche di questo rendiamo grazie al
Signore.
La nostra
riflessione raccoglie le tante sofferenze sperimentate, in questo anno, da
numerose comunità, segnate da eventi luttuosi. Pensiamo alle immense ferite
inflitte dal terremoto nella Pianura Padana. Mentre riconosciamo la nostra
fragilità, cogliamo anche la forza della nostra gente, nel voler ad ogni costo
rinascere dalle macerie e ricostruire con nuovi criteri di sicurezza. Pensiamo
alle alluvioni che hanno recato lutti e distruzioni a Genova, nelle Cinque
Terre, in Lunigiana e in vaste zone del Messinese. Nel pianto di tutti questi
fratelli e sorelle sentiamo il lutto della terra, cui la stessa Sacra Scrittura fa riferimento, e che coinvolge
tristemente anche gli animali selvatici, gli uccelli del cielo e i pesci del
mare (cfr Os 4,3). È significativo, in proposito, che il 9 ottobre sia
stato dichiarato dallo Stato italiano “Giornata in memoria delle vittime dei
disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”.
2. Una storia di guarigione e responsabilità
La guarigione
nasce da un cuore che ama, che si fa vicino all’altro per essere insieme
liberati nella verità e condividere la vita. È la logica dell’educazione alla
“vita buona del Vangelo” che le nostre Chiese stanno percorrendo in questo
decennio.
Ce lo ricorda
anche la storia biblica di Giuseppe (cfr Gen 37-49), venduto dai fratelli per rivalità e gelosia. La sua vicenda
contiene un concreto itinerario di guarigione da parte di Dio delle ferite, sia
quelle del cuore che quelle della terra. Giuseppe è gettato nel pozzo, gridando
la sua innocenza, ma non è ascoltato dai fratelli. A prestare ascolto al suo gemito
sarà Dio stesso, che ha cuore di padre. Giuseppe diventerà il viceré d’Egitto,
attuando una intelligente politica agraria. Nella precarietà della crisi che si
abbatte sul paese, resa visibile dalle vacche magre e dalle spighe vuote, immagini
di forte suggestione anche per il momento attuale, la relazione del popolo con
la terra sarà sanata proprio grazie alla lungimiranza e alla responsabilità per
il bene comune dimostrata da Giuseppe, figura emblematica della Sapienza donata
da Dio a Israele.
Egli, inoltre,
pensa in termini di riconciliazione e non di vendetta quando si vede davanti i
suoi fratelli, che lo hanno tradito e venduto. Se li mette alla prova con severità,
è per cogliere l’autenticità del legame che li unisce al padre Giacobbe,
verificando così la radice di ogni guarigione, interiore ed esteriore. Dopo aver
constatato che il padre resta il premuroso e insostituibile punto di
riferimento, egli rivela la sua identità, in un pianto liberatorio che diviene
accoglienza fraterna e futuro di benessere in una terra e in un cuore
riconciliati in saggezza e verità. Giuseppe stesso esce trasformato da questo
perdono: egli diviene consapevole dell’agire misericordioso di Dio verso gli
uomini.
Quello di
Giuseppe, dunque, è l’itinerario biblico che proponiamo, perché possa essere di
luce e di speranza, durante questo faticoso ma liberante cammino di
benedizione.
3. Educare all’alleanza tra l’uomo e la terra
A noi, come Chiese
in Italia, in sintonia con tante Chiese nel mondo, spetta proprio questo
compito: riportare il cuore della nostra gente dentro il cuore stesso di Dio,
Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa
piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt
5,45). Solo se diventerà primaria la coscienza di una universale fraternità, potremo
edificare un mondo in cui condividere le risorse della terra e tutelarne le
ricchezze. Ciò si accompagna alla comprensione che la creazione ci è donata da
Dio, che essa stessa si fa percorso verso Dio e ci fa sperimentare il dialogo tra
di noi nella verità, come fratelli che hanno riconosciuto la paternità gratuita
di Dio.
Si legge,
infatti, nel messaggio scaturito dall’ultimo Forum Europeo Cattolico-Ortodosso,
tenutosi a Lisbona nello scorso giugno: «Non è più possibile dilapidare le
risorse del creato, inquinare l’ambiente in cui viviamo come stiamo facendo. La
vocazione dell’uomo è di essere il custode e non il predatore del creato. Oggi
si deve essere consapevoli del debito che abbiamo verso le generazioni future
alle quali non dobbiamo trasmettere un ambiente degradato e invivibile» (n. 11).
È nella Bibbia
che incontriamo la grande prospettiva dell’alleanza tra Dio e la sua creazione, in una reciprocità da riconoscere
davanti a luoghi dove la bellezza esteriore si è fatta segno di una bellezza
interiore – pensiamo, ad esempio, ai tanti siti dove i monaci custodiscono il creato
– ma anche davanti ai tristi scempi dell’ambiente naturale, provocati dal
peccato degli uomini, evidente soprattutto nelle azioni della criminalità mafiosa.
Tra ecologia
del cuore ed ecologia del creato vi è infatti un nesso inscindibile, come ricorda
Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate:
«L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la cultura, la quale
a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai
dettami della legge morale» (n. 48). L’ambiente naturale non è una materia di cui disporre a piacimento, «ma
opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità
e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario. Oggi molti
danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni distorte» (ivi), come quelle che riducono la natura
a un semplice dato di fatto o, all’opposto, la considerano più importante della
stessa persona umana.
Ci viene
chiesto, perciò, di annunciare queste verità con crescente consapevolezza,
perché da esse potrà sgorgare un concreto e fedele impegno di guarigione dell’ambiente
calpestato. Si tratta di un compito che appartiene alla sollecitudine educativa
delle comunità cristiane e offre l’occasione per catechesi bibliche, momenti di
preghiera, attività di pastorale giovanile, incontri culturali. È una responsabilità che appartiene anche ai
docenti, in particolare agli insegnanti di religione: essa potrà essere
intensivamente richiamata nel mese di settembre, dedicato in modo speciale al creato
e tempo di ripresa della scuola.
Ritessere l’alleanza tra l’uomo e il creato significa
anche affrontare con decisione i problemi aperti e i nodi particolarmente
delicati, che mostrano quanto ampie e complesse siano le questioni legate
all’intreccio tra realtà ambientale e comunità umana. Accanto all’annuncio, infatti,
è necessaria anche la denuncia di ciò che viola per avidità la sacralità della vita
e il dono della terra. Proprio in questi mesi è venuta all’attenzione dei media la questione dell’eternit a Casale Monferrato, con i gravi
impatti sulla salute di tanti uomini e donne, che continueranno a manifestarsi
ancora per parecchi anni. Un caso emblematico, che evidenzia lo stretto
rapporto che intercorre tra lavoro, qualità ambientale e salute degli esseri
umani. L’attenzione vigilante per tale drammatica situazione e per i suoi
sviluppi deve accompagnarsi alla chiara percezione che l’amianto è solo uno dei
fattori inquinanti presenti sul territorio. Vi sono anzi aree nelle quali
purtroppo la gestione dei rifiuti e delle sostanze nocive sembra avvenire nel
più totale spregio della legalità, avvelenando la terra, l’aria e le falde
acquifere e ponendo una grave ipoteca sulla vita di chi oggi vi abita e delle
future generazioni.
Mentre esprimiamo una volta di più quella solidarietà
partecipe, che si è già manifestata in numerosi gesti di condivisione, desideriamo
proporre una riflessione tesa a cogliere in tali accadimenti alcuni elementi
che la stessa forza dell’emergenza rischia di lasciare sullo sfondo, impedendo
di percepirne tutta la rilevanza. Occorre invece saper leggere i segni dei
tempi, scoprendo – nella luce della fede – quegli inviti a riorientare
responsabilmente il nostro cammino che essi portano in sé.
Annunciare
la verità sull’uomo e sul creato e denunciare le gravi forme di abuso si
accompagna alla messa in atto di scelte e gesti quali stili di vita intessuti
di sobrietà e condivisione, un’informazione corretta e approfondita,
l’educazione al gusto del bello, l’impegno nella raccolta differenziata dei
rifiuti, contro gli incendi devastatori e nell’apprendistato della custodia del
creato, anche come occasioni di nuova occupazione giovanile.
4. Per
una Chiesa custode della terra
Vivere il territorio come un bene comune è un’esigenza
di vasta portata, che richiama anche le comunità ecclesiali a una presenza vigilante.
Il territorio, infatti, è davvero tale quando abitato da un soggetto
comunitario che se ne prenda realmente cura e la presenza capillare del tessuto
ecclesiale deve esprimere anche un impegno in tal senso. Abbiamo bisogno di una
pastorale che ci faccia recuperare il senso del “noi” nella sua relazione alla
terra, in una saggia azione educativa, secondo le prospettive degli Orientamenti
pastorali Educare alla vita buona del
Vangelo. Prendersi cura del territorio, del resto, significa anche
permettere che esso continui a produrre il pane e il vino per nutrire ogni uomo
e che ogni domenica offriamo come “frutti della terra e del nostro lavoro” a
Dio, Padre e Creatore, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue del Suo
amatissimo Figlio.
Per questo invitiamo con forza a tornare a riflettere
sul nostro legame con la terra e, in particolare, sul rapporto che le comunità
umane intrattengono col territorio in cui sono radicate. Si tratta di una
realtà complessa e ricca di significati, che spesso rimanda a storie di
relazioni e di crescita comune, in cui la città degli uomini e delle donne
rivela il suo profondo inserimento in un luogo e in un ambiente. Il territorio
è sempre una realtà naturale, con una dimensione biologica ed ecologica, ma è
anche inscindibilmente cultura, bellezza, radicamento comunitario, incontro di
volti: una densa realtà antropologica, in cui prende corpo anche il vissuto di
fede.
I santi ci
insegnano con chiarezza la strada da seguire, come san Bernardino da Siena, che
mentre poneva al vertice della sua opera pastorale il nome di Gesù, davanti al
quale tutti i ginocchi si piegano in adorazione, si adoperava per rafforzare i
Monti di pietà e i Monti frumentari, segni di una rinascita che dà al denaro il
giusto valore, diventando anche precursore di quella “economia di fiducia” che
sola può guarire le ferite della nostra crisi, causata da avidità e insipienza.
Le stesse mani
dell’uomo, sostenute e guidate dalla forza dello Spirito, potranno così guarire
e risanare, in piena riconciliazione, il creato ferito, a noi affidato dalle
mani paterne di Dio, guardando con responsabilità educativa alle generazioni future,
verso cui siamo debitori di parole di verità e opere di pace.
Roma, 24
giugno 2012
Solennità della
Natività di San Giovanni Battista
La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il
lavoro,
la giustizia e la pace
|
La Commissione Episcopale
per l’ecumenismo e il
dialogo
|